La folla dentro il cuore nessuna polizia potrà disperdere
(Emily Dickinson)
Mai come in questo anno tremendo, è necessario rendere onore al giorno di Yom Kippur e agire in modo che sia una sera e un giorno per chiedere perdono, ma anche di innalzare i cuori perché ci liberiamo e iniziamo un nuovo cammino. Edith Stein (12 ottobre 1891, Breslavia – 9 agosto 1942, Auschwitz) è stata una filosofa ebrea-cristiana nata nel giorno di Yom Kippur. Sia la madre, sia lei stessa non dimenticarono mai questa coincidenza, accaduta non per caso. Penso sempre che dovremmo rilanciare i suoi insegnamenti, dimenticati dalla filosofia accademica, ormai morta.
Queste note iniziali sono il secondo esergo per testimoniare il mio modo di essere nell’ambiente di Giubileo proposto da “Erre”.
di Annarosa Buttarelli Zambelli
Con la raccolta di articoli contenuti nel libro La folla nel cuore (2000), usciti in riviste e quotidiani di allora, Muraro cerca la risposta alla domanda: che tipo di rapporto si può stabilire tra le vicende singolari e la folla anonima e dispersa che non si riesce più a incontrare in chiesa, sulle piazze, nel movimento delle donne, tutti luoghi frammentati nella storia del presente. La risposta è trovata nei versi di Emily Dickinson: gli individui e le individue possono cessare di essere tali accordandosi con quella strana aggregazione che preferisco chiamare “popolo”, non riducendosi a massa, solamente se si aprono le porte del cuore.
Fare del cuore una metafora concreta, fare del cuore un luogo aperto in dentro il quale si va e si viene con altri e altre insieme a noi. Dalle cronache quotidiane apprendiamo con crescente angoscia l’aspetto tremendo della civiltà occidentale, la quale ha dentro di sé un grande slancio, è una miniera di progetti (astratti), riesce a realizzare tanto, ma non vede l’altro, non sa fare esperienza dell’altro, non sa ascoltarlo quindi, e perciò si rivela sempre più tremendamente stupida e non scientifica nel suo procedere disordinatamente.
Il problema ha a che fare con il “giubileo” perché al centro e a sinistra si è commesso quello che potremmo chiamare peccato di omissione (in giurisprudenza, reato omissivo), in quanto si manca di fare ciò che è obbligo etico, di seguire una indicazione divina, in ambito di fede. E in politica, si è omesso di ricercare la connessione con il popolo, avanguardie intellettuali e popolo, già segnalato da Gramsci come uno dei più gravi errori possibili. Per questo, il lavoro di Muraro ha unsignificato importante che, ad esempio, ho cercato di portare avanti in Sovrane.
Un tema importante e pertinente in La folla nel cuore, è la ricerca del linguaggio adeguato, quindi non accademico, non razionalistico, non narcisistico, un linguaggio aderente all’impegno di onorare la nostra nascita da madre, la quale ci fa nascere anche alla parola. Una lingua politica e popolare che possa parlare a tutti e a tutte, attraversando quello che capita nella vita quotidiana; si tratta di parlare anche con quelli e quelle che popolano la cronaca e che, spesso, la fanno. Infatti, gli articoli raccolti nel libro prendono l’abbrivio dai fatti di cronaca, come spiega Luisa Muraro stessa: “Dei giornali, la cosa che leggo più volentieri, oltre alle lettere, è la cronaca.
La cronaca non è mai noiosa né stupida né saccente. Non ha pregiudizi, è piena di bambini e bambine e gente del terzo, quarto mondo, anche quinto, sesto quanti ce n’è, perché è accogliente. E non è ipocrita: nella cronaca la gente piange, ride, si ubriaca, ruba, imbroglia, tradisce, ammazza, muore di cancro, di aids, come nelle altre pagine ma più apertamente. E, soprattutto, la cronaca è piena di donne, che sono personaggi molto interessanti per me donna ma nelle altre pagine piuttosto scarsi:” Oggi aggiungiamo: racconta la fame vicino a noi, lo scempio dell’umanità, che sono personaggi molto interessanti per me donna ma nelle altre pagine piuttosto scarsi, le deportazioni, le stragi, le 52 guerre che devastano ancora la terra, i femminicidi, le violenze, il bullismo… non finirei più di aggiungere.
Luisa Muraro compone i testi del libro con l’arte femminile del disfare (le maglie e non con il disfieri saccente e inconcludente dei postmoderni), del trovare il bandolo della matassa e, una volta trovato il bandolo, di elaborare il merletto di un senso nuovo che nella cronaca stessa o nella banalità delle letture fatte senza riflettere non si può certo trovare.
Anche le letture della cronaca che assumono il cosiddetto “politicamente corretto” possono diventare insignificanti perché occultano l’esperienza racchiusa nei fatti di cronaca. L’arte del disfare proposta da Luisa Muraro è concreta, ancorata alla lettera della vita, ad esempi ed esperienze. E La folla nel cuore, si può leggere come un manuale di applicazione di questa arte che tallona fatti, persone, gesti, comportamenti che non sarebbero intercettati nella loro differenza.
Quale differenza? La differenza sessuale che “abita il mondo, la libertà e l’autorità femminile che lo segnano, i giochi di guerra di un patriarcato occidentale che, padrone del mondo, non è all’altezza del compito, ma anche gli uomini che scartano la violenza di quell’ordine simbolico e provano a parlare la lingua della relazione e dell’amore; i prezzi e i guadagni che derivano dal non agire secondo il senso attribuito al nostro agire e al nostro sesso (di donne).”
Entriamo in un’operazione deliberatamente sovversiva, sul piano delle parole e del linguaggio, quella perseguita da Luisa Muraro attingendo al materiale linguistico e simbolico offerto dalla cronaca di tutti i giorni, più o meno distorto dal resoconto giornalistico. Impariamo da questo esercizio che non basta “fare simbolico”, bisogna anche renderlo nutrimento trasformativo, in modo che i luoghi comuni cessino di fare da schermo alle prese di coscienza, in modo che la banalità ne sia quasi ustionata, in modo che la vita sia riconosciuta nella sua infinita ricchezza e nella sua trascendenza.
Come si fa? Luisa Muraro prova a dirlo in questo modo: nelle pieghe della cronaca bisogna cercare quella che chiama “umanità comune”, una qualità riconoscibile nell’agire popolare e perciò traducibile in parole. È l’umanità comune che è necessario trovare, perché il popolo è per sua natura irrappresentabile come massa e perfino come folla. Per esempio, occorre cercare nelle pieghe della cronaca dove si nasconde la sete di giustizia, un sentire comune che continua a navigare sopra le vicende storiche, da sempre. Spesso la sete di giustizia fa a pugni sia con il politicamente corretto, sia con l’ossessione di rivolgersi alle norme per decidere dei conflitti e delle controversie.
L’“umanità comune” cercata nella Folla nel cuore è anche, per fare un altro esempio, l’amore per la (propria) madre. Nelle cronache Luisa Muraro trova qualche alleanza nella lotta contro quella che chiama “distruzione della relazione materna” in atto da molti secoli e perseguita dalla filosofia a radice maschile delle élites politiche, religiose e culturali: “Una distruzione che non passa solo attraverso le tecnologie riproduttive.
Passa invece attraverso l’uguaglianza, una forsennata tendenza alla realizzazione di una simmetria nei rapporti donna-uomo, adulti-bambini, dove lo squilibrio e la disparità non sono più sopportati. E passa attraverso il sistema del diritto e della moltiplicazione dei diritti “. Oltre a questo, Muraro mette in evidenza un altro concorrente alla distruzione della relazione materna, il capitalismo: “Il capitalismo, di cui apprezziamo l’opera, perché no, l’energia e lo slancio, non sopporta né la potenza né la gratuità di questa relazione primaria (madre-bambino/a), un po’ selvaggia, intensa e non governabile che è la relazione materna. Perché non è monetizzabile.
Di lì non passano soldi, ma amore e odio, gli estremi della vita. E siccome il capitalismo è in pieno trionfo, tende a distruggere ciò che non può comprare.” A partire da quest’ultima difesa della relazione materna, Luisa Muraro certifica ciò che 25 anni fa era ancora visibile e sperimentabile, ma ora non è più documentabile così nettamente: “Avere fiducia, dare credito, riconoscere autorità sono forme costituzionali non scritte che le masse popolari e le donne hanno introdotto di fatto nelle democrazie maschil-borghesi. Sono forme relazionali che regolano, in una maniera fluide e poco controllabile, ma non per questo irrazionale, una vita sociale segnata da differenze e disparità di ogni genere.”
Se fosse stata presidiata la relazione materna, se si fosse diffuso, sostenuto e elaborato il chiasma tra donne e popolo, quasi certamente l’ondata populista, oggi vincente, non avrebbe travolto così facilmente le sponde democratiche, sebbene anch’esse traballanti. Ma è ancora possibile seguire l’impegno politico e simbolico proposto attraverso La folla nel cuore; è ancora possibile e anzi è urgente riprendere a dare significati imprevisti a ciò che accade nella vita quotidiana, e soprattutto aiutare a salvare “la fattualità dei fatti”: “Non è mai facile tenere fermo un fatto, meno che mai se è fatto di violenza.
Salvare la fattualità dei fatti significa proteggerli dalla caterva delle interpretazioni (i giornali mantengono stuoli di opinionisti invece di pagare di più quelli e quelle che fanno la cronaca), ma salvarla anche dalle nostre proiezioni e identificazioni, salvarla dalla opacità e dalle contraddizioni, ma anche dall’uso strumentale.”
Per spiegare questo salvataggio, Muraro trova un esempio di cronaca tra i più controversi: i tre colpi di pistola sparati il 3 giugno 1968 da Valerie Solanas contro Andy Wharol, a New York, ferendolo. Lei, artista, fu arrestata e lui, artista, guarì. Ci si può immaginare quali furono le interpretazioni correnti: follia, problema personale tra i due, vendetta. Solanas, uscita di prigione disse: ”Non hanno capito che ho fatto un’opera d’arte.”
Ed ecco, la lettura imprevista di Luisa Muraro: “C’è, in queste parole di Solanas, l’idea da me espressa sul salvare i fatti, ma da lei espressa meglio, come necessità di elaborarli. Il fatto violento, proprio per es- sere salvato come fatto, ha bisogno di essere riscattato simbolicamente. Ed è in questa chiave, di elaborazione simbolica, che va letto, secondo me, anche l’invito della Solanas a <eliminare i maschi>, ossia a estrometterli, con la forza di un simbolico femminile autonomo, dai rapporti che una donna ha con se stessa e le sue simili.”
È evidente, spero, che Muraro indicando la necessità di salvare “la fattualità dei fatti”, non intende prendere i fatti alla lettera, perché questo la fa la polizia che arresta giustamente una Solanas che spara veri proiettili; ma al contrario, occorre prendere i fatti per il loro lato sorprendente e difficile, prenderli talmente sul serio da elaborare il loro messaggio non interpretabile con i cliché del luogo comune e della forza della legge. Certamente un compito non facile da svolgere.
Un compito che Luisa Muraro abbia assunto anche, non solo, dopo aver studiato le due filosofe più amate, Iris Murdoch e Simone Weil. L’una indicava come il vero compito dell’intellettuale pensare e “vedere il mondo così com’è”; l’altra scriveva che l’unico bene che possiamo fare sulla terra sta nell’esprimere “pensieri originali”. Penso che la traduzione di Muraro di queste due stelle polari sia nella sua formulazione della necessità di salvare la fattualità dei fatti, pensandoli originalmente, in maniera non triviale, scontata.
Luisa Muraro ha assunto un impegno analogo dando vita nel 1991 alla rivista cartacea “Via Dogana”, veicolo dell’obbligo – che il femminismo filosofico continua a sostenere – a orientare, a aiutare a pensare originalmente, a mettere in contatto esperienze e loro sviluppo logico. Ho potuto coordinare la redazione per oltre dieci anni e dunque posso dire a ragion veduta che il lavoro della rivista, negli anni in cui è uscita, ha conquistato quella posizione che si può chiamare egemonica (gramscianamente), proprio grazie all’elaborazione di pratiche politiche avanzate, ricavate dal principio “la folla dentro il cuore”.
Nel 2014 Luisa Muraro ha deciso di chiudere la prima serie perché vedeva sfuggire l’egemonia politica conquistata: “Nella società di oggi vedo luci e ombre: rispetto ai turbamenti e agli squilibri, fecondi anche per gli uomini seppure difficili da gestire, portati da molte femministe negli anni Settanta, oggi altri squilibri premono…
L’equiparazione delle donne agli uomini è un processo avviato sui suoi binari con soddisfazione in molti campi ma è anche foriero di nuove ingiustizie per le donne. Che sono chiamate ad adeguarsi a una cultura e a una politica disgraziate. Certo, l’equiparazione mette a posto qualcosa, le disuguaglianze erano fonte di clamorose ingiustizie e risentimenti.
La visibilità pubblica è un dato positivo come i buoni risultati raggiunti nel mondo della genitorialità con gli uomini sempre più coinvolti”. Ma, da quest’anno abbiamo rilanciato la rivista cartacea, constatata l’assoluta necessità dell’obbligo di riorientare o, addirittura, risuscitare la capacità di pensare originalmente, riportando il popolo – di cui le donne fanno parte – dentro il cuore.
Ci sono motivi per riempirci di giubilo se pensiamo a quest’obbligo e dunque all’attualità dell’impresa di Luisa Muraro, fedele alla lettura quotidiana della cronaca, visto che nella cronaca troviamo spesso paradossi interessanti che richiedono pensieri originali. Ad esempio, ci aspetteremmo, nel caso di processi per violenze o stupri ai danni di donne, che le giudici assumessero una giusta posizione e punissero adeguatamente i maschi colpevoli accertati.
Accade spesso, purtroppo, che siano più donne-giudici che uomini-giudici a trovare attenuanti inesistenti per i colpevoli, o addirittura siano proprio le giudici a colpevolizzare le vittime. È un “sottosopra” al contrario.
Perché accade? Luisa Muraro ha un pensiero originale: “Io penso che la relativa stranezza di questi fatti – femministe che rischiano di confondersi con i cacciatori di streghe e uomini che sanno il cambiamento ma non cambiano – si chiarisce se riconosciamo che una parte non piccola del femminismo si trova oggi impegnata in una specie di sfida fallica con il sesso maschile. Penso, in particolare, al femminismo di Stato, che reclama la parità con gli uomini per conquistare il potere e che, in questa gara, mette in gioco anche la differenza femminile.”
Un altro esempio da leggere originalmente, oggi, riguarda il movimento delle donne che in Italia non fa quel necessario passo avanti per aprire potenti conflitti con l’attuale sistema di dominio, riconquistando la capacità di orientare in largo, riprendendo a contare sull’indubbia autorevolezza culturale e politica che abbiamo come tesoro. Anche in questo caso, Luisa Muraro ha una risposta convincente, con la quale è bene concludere questo percorso dedicato alla liberazione dalle omissioni: “Non c’è da meravigliarsi se l’inermia dell’infanzia si riduce a ragione o a pretesto per operazioni più o meno demagogiche di ordine pubblico.
Un simile esito non sarebbe possibile senza l’esitazione di quel femminismo che pure si vive fedele all’ispirazione originaria di autonomia del desiderio femminile rispetto a quello maschile. Esitazione a pensare e a realizzare una società rispondente al senso libero della differenza femminile, esitazione a pensare e praticare il mondo a partire dalla relazione di differenza con l’uomo… C’è anche un non pensiero femminista del mondo nel segno della differenza. Cioè un non pensiero della libertà femminile nella relazione con l’altro da sé.” Dobbiamo riunirci di nuovo a pensare insieme originalmente, questo è l’augurio che faccio grazie a questo giubileo 2025.