Il termine fondamentalismo è solitamente associato all’aggettivo religioso. Un’associazione giustificata dalle origini del vocabolo, che identificava i contrasti di ordine teologico e pastorale sorti in seno ad alcuni ambienti del protestantesimo conservatore
americano nei primi anni del XX secolo. La difesa dell’origine divina – e la conseguente
inoppugnabilità – del testo biblico e dei fondamenti della fede che da esso promanavano, fu oggetto di una intensa campagna di informazione religiosa da parte di alcune
correnti del tradizionalismo evangelico, veicolata da una collana di opuscoli intitolata “Te fundamentals”. Ogni dubbio circa l’ispirazione e la veridicità del testo sacro veniva esclusa, opponendosi a ogni tentativo di interpretazione storico-critica o a ermeneutiche di taglio liberale.
Ben presto queste correnti di pensiero che ritenevano inconfutabile la dottrina biblica sulla creazione si scontrarono con le moderne teorie evoluzioniste, polarizzando in dibattito pubblico e arrivando nelle aule di tribunale nel 1925 a Dayton (Tennesee), quando il docente di scienze John T. Scopes venne processato per i suoi insegnamenti di ispirazione darwiniana, espressamente vietati da una legge federale (il Butler Act). Il “Processo alla scimmia di Scopes” (Scopes monkey trial) divenne il simbolo dello scontro ideologico tra opposti fondamentalismi che divise (e in alcuni casi divide ancora) l’opinione pubblica americana. Un episodio che segnò il passaggio dal piano del dibattito teologico e della difesa dei principi di fede a quello del movimentismo politico e del contrasto pubblico rispetto alle moderne teorie scientifiche e al loro insegnamento.
Questi episodi descrivono i lineamenti e i tratti salienti che caratterizzano la gran parte dei fondamentalismi nelle varie esperienze religiose, non confinate all’ambito cristiano, con le derive estremiste manifestatesi in tempi recenti all’interno di movimenti integralisti e di frange reazionarie.
Ben presto queste correnti di pensiero che ritenevano inconfutabile la dottrina biblica sulla creazione si scontrarono con le moderne teorie evoluzioniste, polarizzando in dibattito pubblico e arrivando nelle aule di tribunale nel 1925 a Dayton (Tennesee), quando il docente di scienze John T. Scopes venne processato per i suoi insegnamenti di ispirazione darwiniana, espressamente vietati da una legge federale (il Butler Act). Il “Processo alla scimmia di Scopes” (Scopes monkey trial) divenne il simbolo dello scontro ideologico tra opposti fondamentalismi che divise (e in alcuni casi divide ancora) l’opinione pubblica americana. Un episodio che segnò il passaggio dal piano del dibattito teologico e della difesa dei principi di fede a quello del movimentismo politico e del contrasto pubblico rispetto alle moderne teorie scientifiche e al loro insegnamento.
Questi episodi descrivono i lineamenti e i tratti salienti che caratterizzano la gran parte dei fondamentalismi nelle varie esperienze religiose, non confinate all’ambito cristiano, con le derive estremiste manifestatesi in tempi recenti all’interno di movimenti integralisti e di frange reazionarie.
Oltre alla sostanziale negazione di ogni
forma di laicità degli ordinamenti statali
e dell’autorità pubblica, il tratto comune
dei movimenti fondamentalisti risiede nel
trasformare una credenza religiosa in uno
strumento di lotta per la conquista del
potere politico. Sulla base della convinzione che la società possa essere salvata dal
male, una (presunta) verità viene imposta
a tutti, rifondando la convivenza civile e
le istituzioni sulla base di una legge divinamente ispirata, che possiede il primato
sulle leggi degli uomini e dalla quale derivare tutte le altre norme. A livello antropologico e sociologico,
questi modi di intendere la verità religiosa mirano a imporre e afermare un’identità collettiva che si riconosce sulla base
dell’esistenza di nemici, dell’uniformità
e purezza etnica e linguistica, della proprietà esclusiva della terra dove si risiede, accompagnati da un alto tasso di violenza simbolica e retorica e da una forte
tensione alla conquista e alla conversione
dell’altro, visto come atto di giustizia nei
confronti

della verità. La base ideologica della conquista del
potere poggia solitamente su modelli di
organizzazione sociale arcaici (ad esempio, la netta distinzione di ruoli tra uomo
e donna e la subordinazione di questa a
quello), su forme di organizzazione economica illiberali, fondate sul possesso
delle risorse per garantire il controllo
sociale.
Il fronte dell’informazione (dai tempi del processo Scopes) è sempre stato oggetto di stretto controllo da parte delle forze fondamentaliste. Un’attenzione oggi trasferita alla rete web e al mondo dei social, dove convergono i più ingenti investimenti di tutti i movimenti radicali, in virtù della facilità di creazione di comunità virtuali, di produzione e circolazione di messaggi assertivi e interazioni, finalizzati a conquistare e gestire il consenso.
I fondamentalismi possono apparire una forma di reazione alla definitiva acquisizione della consapevolezza che viviamo in una realtà globale dove tutto è interconnesso e correlato, così come in un “cambio d’epoca”, annunciato e discusso nel dibattito pubblico degli ultimi anni. Un dibattito che comprende le possibilità di salvezza dell’umanità nell’epoca denominata “antropocene”, dove l’attività antropica è stata riconosciuta capace di trasformare le leggi della natura. L’immagine, evocata da papa Francesco, dello “stare sulla stessa barca”, si rivela una metafora senza alcuna concessione alla poesia. La barca è uno spazio limitato, che richiede pazienza, tolleranza e adattamento nella convivenza, condivisione della speranza rispetto alla rotta da compiere, della paura di fronte alla forza degli elementi, della fatica rispetto alla pesca da compiere.
Come per i linguaggi di programmazione, nuove grammatiche e nuovi alfabeti stanno riscrivendo la narrazione delle relazioni umane (spesso sostituendole con le connessioni virtuali), accompagnando il mondo globalizzato fuori dai recinti e dai paradigmi culturali descritti con il termine di “modernità”, per approdare a una fase fortemente dinamica ed evolutiva, caratterizzata da una fortissima incertezza di fondo. Un’umanità alle prese con la precarietà relazionale, affettiva, ermeneutica, economica e culturale organizzata in società attraversata da movimenti non arginabili (di immagini, tecnologie, capitali, idee e illusioni), trasformata dalla frammentazione sociale, abitata da cittadini legati da rapporti liquidi – secondo la celeberrima definizione di Zygmunt Bauman – con le cose e con i propri simili, alle prese con la difficoltà di fondare legami solidi in un mondo in cui la rappresentazione della realtà sembra essere più reale della realtà stessa.
Il fronte dell’informazione (dai tempi del processo Scopes) è sempre stato oggetto di stretto controllo da parte delle forze fondamentaliste. Un’attenzione oggi trasferita alla rete web e al mondo dei social, dove convergono i più ingenti investimenti di tutti i movimenti radicali, in virtù della facilità di creazione di comunità virtuali, di produzione e circolazione di messaggi assertivi e interazioni, finalizzati a conquistare e gestire il consenso.
I fondamentalismi possono apparire una forma di reazione alla definitiva acquisizione della consapevolezza che viviamo in una realtà globale dove tutto è interconnesso e correlato, così come in un “cambio d’epoca”, annunciato e discusso nel dibattito pubblico degli ultimi anni. Un dibattito che comprende le possibilità di salvezza dell’umanità nell’epoca denominata “antropocene”, dove l’attività antropica è stata riconosciuta capace di trasformare le leggi della natura. L’immagine, evocata da papa Francesco, dello “stare sulla stessa barca”, si rivela una metafora senza alcuna concessione alla poesia. La barca è uno spazio limitato, che richiede pazienza, tolleranza e adattamento nella convivenza, condivisione della speranza rispetto alla rotta da compiere, della paura di fronte alla forza degli elementi, della fatica rispetto alla pesca da compiere.
Come per i linguaggi di programmazione, nuove grammatiche e nuovi alfabeti stanno riscrivendo la narrazione delle relazioni umane (spesso sostituendole con le connessioni virtuali), accompagnando il mondo globalizzato fuori dai recinti e dai paradigmi culturali descritti con il termine di “modernità”, per approdare a una fase fortemente dinamica ed evolutiva, caratterizzata da una fortissima incertezza di fondo. Un’umanità alle prese con la precarietà relazionale, affettiva, ermeneutica, economica e culturale organizzata in società attraversata da movimenti non arginabili (di immagini, tecnologie, capitali, idee e illusioni), trasformata dalla frammentazione sociale, abitata da cittadini legati da rapporti liquidi – secondo la celeberrima definizione di Zygmunt Bauman – con le cose e con i propri simili, alle prese con la difficoltà di fondare legami solidi in un mondo in cui la rappresentazione della realtà sembra essere più reale della realtà stessa.
Il tratto comune dei
movimenti fondamentalisti
risiede nel trasformare una
credenza religiosa in uno
strumento di lotta per la
conquista del potere politico.
Molte delle nostre odierne certezze diverranno presunte e – anche con l’aiuto della
granularità acritica e destrutturata dell’informazione – le evidenze non genereranno tesi o credenze che non possano essere
smentite o interpretate in modo multiforme e conflittuale.
Oggi gli elementi strutturali della realtà misurabile vengono sempre più considerati nella loro valenza antropologica, poiché tante acquisizioni scientifiche recenti dimostrano che la vita si sviluppa dalla capacità di relazionarsi e non dall’isolamento, e che le dimensioni finite di tempo e spazio tendono incessantemente verso un concetto di eternità.
Verosimilmente, sarà questa la nuova condizione del mondo, molto più imprevedibile, più libera e al contempo più sottoposta a mille condizionamenti, che noi non siamo in grado di dominare e neppure di prevedere.
Se analizziamo, anche superficialmente, le condizioni primarie della convivenza – come quelle della guerra e della pace – nel mondo attuale, l’assunto gramsciano secondo il quale l’“ottimismo della volontà” è l’unico elemento opponibile al “pessimismo della ragione” dimostra tutto il proprio potenziale etico e politico. La condizione di “terza guerra mondiale …seppur combattuta a pezzetti” (Papa Francesco, 18 agosto 2014), seppur non ratificata da nessuna cancelleria, trattato o consiglio di sicurezza, non è mai stata smentita da nessuno. L’inefficienza strutturale dimostrata dalla istituzione più rappresentativa della comunità e dell’ordine internazionale come l’ONU (“creatura” del ‘900), pone nuove sfide, circoscritte a due ambiti fondamentali: l’identificazione dei fattori naturali, culturali e politici che generano le crisi e l’adeguamento degli istituti del diritto internazionale per prevenirle.
Dall’epoca delle grandi divisioni (ideologiche e politiche) siamo passati all’epoca della frammentazione, anche dei concetti primari di guerra e di pace. Le tante frontiere della pace (e delle guerre), se una volta passavano dal controllo della politica internazionale e delle fonti energetiche, passano oggi dal controllo di tutt’altri elementi, come le grandi reti digitali.
Oggi gli elementi strutturali della realtà misurabile vengono sempre più considerati nella loro valenza antropologica, poiché tante acquisizioni scientifiche recenti dimostrano che la vita si sviluppa dalla capacità di relazionarsi e non dall’isolamento, e che le dimensioni finite di tempo e spazio tendono incessantemente verso un concetto di eternità.
Verosimilmente, sarà questa la nuova condizione del mondo, molto più imprevedibile, più libera e al contempo più sottoposta a mille condizionamenti, che noi non siamo in grado di dominare e neppure di prevedere.
Se analizziamo, anche superficialmente, le condizioni primarie della convivenza – come quelle della guerra e della pace – nel mondo attuale, l’assunto gramsciano secondo il quale l’“ottimismo della volontà” è l’unico elemento opponibile al “pessimismo della ragione” dimostra tutto il proprio potenziale etico e politico. La condizione di “terza guerra mondiale …seppur combattuta a pezzetti” (Papa Francesco, 18 agosto 2014), seppur non ratificata da nessuna cancelleria, trattato o consiglio di sicurezza, non è mai stata smentita da nessuno. L’inefficienza strutturale dimostrata dalla istituzione più rappresentativa della comunità e dell’ordine internazionale come l’ONU (“creatura” del ‘900), pone nuove sfide, circoscritte a due ambiti fondamentali: l’identificazione dei fattori naturali, culturali e politici che generano le crisi e l’adeguamento degli istituti del diritto internazionale per prevenirle.
Dall’epoca delle grandi divisioni (ideologiche e politiche) siamo passati all’epoca della frammentazione, anche dei concetti primari di guerra e di pace. Le tante frontiere della pace (e delle guerre), se una volta passavano dal controllo della politica internazionale e delle fonti energetiche, passano oggi dal controllo di tutt’altri elementi, come le grandi reti digitali.
Il modello occidentale (europeo e nordamericano) di democrazia, e quello economico e ideologico neoliberista, che si ritenevano in grado di governare i processi
di globalizzazione e di dettare le regole
per le mutazioni dell’ordine mondiale, si
trovano in realtà di fronte a una grande
regressione, con l’incapacità di garantire stabilità economica, giustizia sociale e
mantenimento della pace.
L’Europa sta perdendo la propria identità storica e si sta avviando a non essere più il laboratorio di civiltà e umanesimo che è stata per almeno due millenni – dalla cultura giudaica a quella greca, dall’Impero romano all’ecumene cristiano, dal rinascimento all’illuminismo – elaborando e deffinendo valori universali come libertà, uguaglianza e fraternità, condensati nel principio della ricerca della verità.
Si stanno sgretolando le fondamenta etiche di un’Europa unita e democratica, così come la fiducia in un processo di integrazione politica intrapreso alla metà del Novecento, grazie alla lungimiranza dei suoi padri fondatori.
Il baricentro del mondo si è definitivamente spostato su altri (e molteplici) assi, dove i modelli di governance maggioritari sono incarnati da regimi “relativamente” democratici, quando non “effettivamente” autoritari. Nelle democrazie tradizionali (sempre più circoscritte nel mondo occidentale) sta progressivamente venendo meno il principio della separazione dei poteri e aumentando la loro concentrazione negli esecutivi; sta mutando il concetto di rappresentanza che delinea la sovranità popolare, e la rappresentanza reale si sposta decisamente dall’elettore verso oligarchie e centri di potere.
Nell’era cosiddetta post-secolare, l’appartenenza e la presenza religiosa non richiedono più sforzi per tutelare il territorio e difendere le ragioni della propria fede, o per rivendicare le prerogative della propria comunità. Ci si congeda dalla contrapposizione tra secolare e religioso tipica della modernità e, nel contempo, si dischiudono opportunità impensate per camminare insieme. Coerenza e partecipazione possono diventare gli elementi essenziali per sostenere la propria fede nella storia, così come il dovere di dialogare responsabilmente con la cultura del proprio tempo.
Esempi “settoriali” di una strutturazione del mondo in forte cambiamento, ma che ci rammentano la necessità – d’ora in poi – di valutare ed affrontare le situazioni, i problemi e le scelte politiche stabilendo delle priorità, usando approcci, modelli e linguaggi meno astratti e ideologici, più ancorati alla realtà e ai bisogni dell’uomo, con un metodo induttivo che muova da situazioni e bisogni concreti.
Una possibile chiave per imboccare (e possibilmente richiudere dietro di noi) la porta di uscita dai fondamentalismi ce la fornisce il grande scrittore e uomo di pace ebreo Amos Oz. Nel suo saggio “Contro il fanatismo” affrrma:
L’Europa sta perdendo la propria identità storica e si sta avviando a non essere più il laboratorio di civiltà e umanesimo che è stata per almeno due millenni – dalla cultura giudaica a quella greca, dall’Impero romano all’ecumene cristiano, dal rinascimento all’illuminismo – elaborando e deffinendo valori universali come libertà, uguaglianza e fraternità, condensati nel principio della ricerca della verità.
Si stanno sgretolando le fondamenta etiche di un’Europa unita e democratica, così come la fiducia in un processo di integrazione politica intrapreso alla metà del Novecento, grazie alla lungimiranza dei suoi padri fondatori.
Il baricentro del mondo si è definitivamente spostato su altri (e molteplici) assi, dove i modelli di governance maggioritari sono incarnati da regimi “relativamente” democratici, quando non “effettivamente” autoritari. Nelle democrazie tradizionali (sempre più circoscritte nel mondo occidentale) sta progressivamente venendo meno il principio della separazione dei poteri e aumentando la loro concentrazione negli esecutivi; sta mutando il concetto di rappresentanza che delinea la sovranità popolare, e la rappresentanza reale si sposta decisamente dall’elettore verso oligarchie e centri di potere.
Nell’era cosiddetta post-secolare, l’appartenenza e la presenza religiosa non richiedono più sforzi per tutelare il territorio e difendere le ragioni della propria fede, o per rivendicare le prerogative della propria comunità. Ci si congeda dalla contrapposizione tra secolare e religioso tipica della modernità e, nel contempo, si dischiudono opportunità impensate per camminare insieme. Coerenza e partecipazione possono diventare gli elementi essenziali per sostenere la propria fede nella storia, così come il dovere di dialogare responsabilmente con la cultura del proprio tempo.
Esempi “settoriali” di una strutturazione del mondo in forte cambiamento, ma che ci rammentano la necessità – d’ora in poi – di valutare ed affrontare le situazioni, i problemi e le scelte politiche stabilendo delle priorità, usando approcci, modelli e linguaggi meno astratti e ideologici, più ancorati alla realtà e ai bisogni dell’uomo, con un metodo induttivo che muova da situazioni e bisogni concreti.
Una possibile chiave per imboccare (e possibilmente richiudere dietro di noi) la porta di uscita dai fondamentalismi ce la fornisce il grande scrittore e uomo di pace ebreo Amos Oz. Nel suo saggio “Contro il fanatismo” affrrma:
«Il fanatico è sempre molto altruista. È più interessato agli altri che a sé stesso. Prova
sempre a salvarti l’anima o a cambiarti, oppure ti aiuta a “vedere la luce”. Vive la sua vita
solamente attraverso le altre persone. Naturalmente se non può cambiarti ti ucciderà. Ma
lo farà perché ti ama, non perché ti odia [… ].Credo che il senso dell’umorismo sia una
grande cura. Non ho mai visto una persona dotata di humor diventare un fanatico. E
non ho mai visto un fanatico con il senso dell’umorismo, perché possederlo signifca saper
ridere di sé stessi.»