Shabbàt, diritti umani e convivenza interreligiosa

di Silvina Chemen

Lo Shabat, cuore pulsante della tradizione ebraica, non è solo un giorno di riposo settimanale, ma un momento sacro che celebra la dignità umana, la giustizia sociale e l’unità del creato.

Come afferma Abraham Joshua Heschel, “Shabat significa celebrare e glorificare il tempo e non glorificare o annunciare lo spazio. Viviamo sei giorni alla settimana sotto la dittatura delle “cose” nello spazio; Durante lo Shabbat cerchiamo di orientarci verso la santità del tempo. In quel giorno siamo chiamati a creare un’affinità con l’eternità del tempo, ad allontanarci dai risultati della creazione e a volgerci verso il segreto della creazione.[…] Il settimo giorno è un palazzo che costruiamo nel tempo. Le sue mura sono fatte di anima, gioia e autocontrollo.” Abraham Joshua Heschel “Lo Shabbat e l’uomo moderno”.

Shabat diventa un rifugio temporale che invita ogni essere umano a riflettere sulla propria condizione esistenziale e sul valore intrinseco della vita. Questo concetto risuona fortemente con i principi dei diritti umani, sottolineando l’idea che ogni individuo è portatore di una dignità inviolabile, indipendentemente dalla sua origine, religione o cultura.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 stabilisce, nel suo primo articolo, che “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Lo Shabat incarna questo spirito di fratellanza, proponendo un tempo in cui la libertà e l’eguaglianza vengono celebrate in modo concreto. La Torah prescrive che nel giorno di Shabat si astengano dal lavoro non solo i membri della famiglia ebraica, ma anche i servi, i lavoratori stranieri e persino gli animali (Esodo 20:10). Questo precetto riflette una visione radicale di inclusione e giustizia sociale, che anticipa i principi moderni di tutela dei diritti di ogni essere vivente.

Un esempio significativo è il divieto di sfruttare il lavoro durante lo Shabat, un principio che risuona con l’articolo 24 della Dichiarazione Universale, che afferma il diritto di ogni persona al riposo e al tempo libero, inclusa una ragionevole limitazione dell’orario di lavoro e ferie periodiche retribuite. La tradizione ebraica, con il suo invito settimanale alla pausa, si pone quindi come un modello di rispetto per il benessere fisico e spirituale dell’essere umano.

La dimensione universale del Shabat

Il messaggio del Shabat non si limita al popolo ebraico. La sua dimensione universale emerge chiaramente nel richiamo alla creazione: “In sei giorni il Signore fece il cielo, la terra e il mare e tutto ciò che è in essi, ma si riposò il settimo giorno” (Esodo 20:11). Questo concetto implica che tutti gli esseri umani, in quanto parte del creato, condividono una responsabilità comune verso il mondo e verso gli altri. In un contesto interreligioso, lo Shabat può essere visto come un simbolo di unità e cooperazione, un tempo per riconoscere la santità della vita e la fratellanza universale.

Il filosofo e teologo ebreo Emmanuel Lévinas nel suo libro ‘Etica e Infinito’ ha sottolineato che l’essenza della responsabilità etica risiede nel riconoscimento dell’“altro” come portatore di una dignità infinita. Lo Shabat, con la sua enfasi sul rispetto e la giustizia, invita a un dialogo che trascende le differenze religiose e culturali. In questo senso, il giorno di riposo settimanale può diventare un modello per la convivenza interreligiosa, un terreno comune dove diverse fedi possono incontrarsi per celebrare la sacralità del creato e la dignità di ogni essere umano.

Un elemento fondamentale del Shabat è il suo legame diretto con Dio. Così come Dio si fermò il settimo giorno per contemplare la creazione, anche noi, creati a Sua immagine e somiglianza, siamo chiamati a fermarci, a riflettere sul dono della vita e a ristabilire un contatto profondo con il divino. Questo riposo non è un’assenza di attività, ma un atto di consacrazione del tempo, un riconoscere che ogni momento può essere riempito di significato spirituale.

Come afferma il Midrash, “Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò,

perché in esso si riposò da tutta la sua fatica che Dio aveva creato per fare” (Genesi 2:3). “Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò” – è scritto: “La benedizione del Signore, arricchirà, senza aggiungervi fatica” (Proverbi 10:22). “La benedizione del Signore, arricchirà” – questo è Shabbat. (Bereshit Rabbah 11:1). Lo Shabat ci invita dunque a partecipare attivamente alla santificazione del mondo, trasformando la nostra esistenza quotidiana in un cammino verso il sacro.

Shabat e giustizia sociale

Un altro aspetto cruciale del Shabat è il suo legame con la giustizia sociale. La Torah collega il riposo sabbatico alla memoria della liberazione dalla schiavitù in Egitto: “Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto, e il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di lì con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di Shabat” (Deuteronomio 5:15). Questo invito a ricordare l’esperienza della schiavitù è un richiamo potente alla responsabilità di lavorare per una società più giusta e inclusiva. Un invito all’azione. “Lo Shabbat è un invito all’azione. Anche se il settimo giorno sperimentiamo il mondo come dovrebbe essere, gli altri sei giorni della settimana abitiamo il mondo così com’è, Il “mondo reale” è corrotto. Pertanto, pur essendo un giorno di gioia, lo Shabbat ha anche il potere di spronarci. Lo Shabbat ci spinge a vedere l’ingiustizia del nostro mondo, a preoccuparci di chi attorno a noi piange per la fame, a compiangere la perdita delle risorse naturali e a rivoltarci contro le forze di oppressione e ingiustizia che affliggono l’umanità. Non possiamo vedere questi mali e non agire. Ecco perché lo Shabbat è un invito all’azione. Indignarsi per tutto ciò che c’è di male è importante tanto quanto gioire per tutto ciò che c’è di buono sulla terra di Dio.” (Rabbi Jonah Dov, ‘Shabbat and Social Justice’, Seven Days, Many Voices)

“Un elemento fondamentale dello Shabbàt è il suo legame diretto con Dio. Così come Dio si fermò il settimo giorno per contemplare la creazione, anche noi, creati a Sua immagine e somiglianza, siamo chiamati a fermarci, a riflettere sul dono della vita e a ristabilire un contatto profondo con il divino”

Lo Shabat è anche un richiamo alla sostenibilità ambientale, un tema che oggi riguarda profondamente i diritti umani. Fermarsi una volta alla settimana significa riconoscere i limiti dello sfruttamento delle risorse naturali e il valore intrinseco del creato. Papa Francesco, nella sua enciclica Laudato si’, sottolinea l’importanza di “un giorno per il riposo, che ridona spazio a Dio, agli altri e all’ambiente” (LS 237), un’idea che trova corrispondenza nella tradizione del Shabat, un giorno di riposo che merita tutta la creazione.

Shabat: una opportunità per la convivenza interreligiosa

Lo Shabat non è solo una pratica religiosa, ma un modello universale di rispetto per i diritti umani e per la convivenza. È un invito rivolto a tutte le nazioni e le fedi a costruire un mondo dove la dignità, la pace e la giustizia siano al centro della vita umana.

Benjamin Gross, nel suo libro Un Momento di Eternità, descrive lo Shabat come un simbolo di utopia e armonia universale, un “anticipo del shalom (pace) messianico”. Questa visione proietta il giorno di riposo come una finestra settimanale verso un mondo ideale, libero da disuguaglianze e ingiustizie. La pace del Shabat diventa quindi una forma di educazione pratica alla giustizia sociale e al rispetto reciproco.

Allo stesso modo, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni sottolinea che lo Shabat rappresenta un’unione mistica tra il tempo e la santità, un modello per riflettere su come il ritmo della vita possa portare alla pace e all’equilibrio. Egli osserva che la consacrazione del settimo giorno invita l’intera umanità a riconoscere la sacralità del tempo come dimensione di convivenza e di rispetto per la Creazione.

Mi permetto di condividere un’esperienza personale che è alla base di tutto quanto scritto in questo articolo. Dieci anni fa, a Buenos Aires, abbiamo deciso di dedicare uno Shabat all’anno alla convivenza tra ebrei, cristiani e musulmani. Chiamiamo questa esperienza: Shabaton; un grande Shabat. Scegliamo di mettere in pausa i nostri calendari per santificare insieme i tempi sacri con i nostri fratelli. Così il giorno sacro del venerdì, il Jumah musulmano, con la predicazione dell’Iman e le sue preghiere, la celebrazione dello Shabat con tutte le sue preghiere e rituali e la domenica cristiana con la messa si uniscono per dimostrarci che anche con lingue diverse e simboli, la sacralità del tempo ci chiede solo una cosa: scegliere la fraternità, l’amore e la pace come i messaggi più preziosi delle nostre comuni tradizioni.

In definitiva, lo Shabat non è solo una pratica religiosa, ma un modello universale di rispetto per i diritti umani e per la convivenza. È un invito rivolto a tutte le nazioni e le fedi a costruire un mondo dove la dignità, la pace e la giustizia siano al centro della vita umana.

Silvina Chemen

Vicerettrice della cooperazione internazionale dell’Università Isaac Abrabanel.

Direttrice del Centro di Dialogo Interreligioso del Seminario Rabbinico Latinoamericano.

Copyright © 2024 Fondazione RUT, all rights reserved | Cookie & Privacy Policy