Intervista a Liliana Segre | Commemorazione di Hannah Arendt

Introduzione di Giovanna Martelli

Anna Arendt e Liliana Segre: due donne, due destini, legate alla storia del novecento. Hannah Arendt, filosofa e pensatrice ebrea tedesca, costretta all’esilio dal nazismo, ha analizzato per tutta la vita con un nuovo sguardo, i totalitarismi, il male, la crisi della modernità, contrapponendo un agire pensato e plurale individuale e collettivo per una umanità libera consapevole. Liliana Segre, ebrea milanese, il divoramento del male lo ha vissuto in prima persona: deportata ad Auschwitz a 13 anni, sopravvissuta, dopo anni di silenzio ha testimoniato gli orrori della Shoah. Pensare e testimoniare come antidoti all’indifferenza, “L’indifferenza racchiude la chiave per comprendere la ragione del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. L’indifferente è complice” scrive Liliana Segre. “Il più grande male nel mondo è commesso da nessuno”, scrive Arendt riferendosi a Eichmann, “da chi non riflette, da chi obbedi- sce, da chi si adegua”.

Il loro intreccio di personale e politico è un’eredità che raccogliamo, consapevoli e riluttanti che siamo noi i protagonisti della scrittura della nostra Storia, con la nostra postura di stare nel mondo. Indifferenti o pensanti resistenti.

A cura di Daniele Massimo Regard

Che cos’è oggi la banalità del male? E come si manifesta quella normalità inquietante con cui il male può insinuarsi nella società?

Oggi la “banalità del male” è divenuta di massa. Non si tratta più infatti della patologia di individui alienati o di gruppi ristretti fanatizzati, la diffusione e la pervasività raggiunta dai social media mette ormai nelle mani di masse potenzialmente infinite i mezzi perché, protetti dall’anonimato e dalla complicità che il meccanismo social per sua natura sviluppa, si possa non solo insultare, offendere, minacciare, ma talvolta anche condividere o addirittura pianificare aggressioni o attentati. 

La sua è la testimonianza di una “vita activa”, nel significato più profondo che ci ha voluto lasciare in eredità Hannah Arendt, come tramandare alle nuove generazioni questo senso di responsabilità e il valore della memoria?

Vita Activa per Hannah Arendt era una riflessione sulla “condizione umana” che aveva come modello la città-stato greca. Una realtà nella quale ai cittadini liberi era richiesto impegno, partecipazione, condivisione, dibattito pubblico, responsabilità. Un dialogo pubblico dunque continuamente stimolato e ricercato, che costituiva il momento più alto della vita civile, dell’esercizio consapevole e informato della libertà. Precisamente questo è il valore della migliore tradizione occidentale che ancor oggi dobbiamo coltivare e valorizzare.  

Che idea si è fatta dei giovani di oggi? In che modo possiamo aiutarli a sviluppare uno sguardo critico sul mondo, rendendoli più consapevoli e responsabili del loro futuro?

Essere fiduciosi del futuro di ragazze e ragazzi equivale ad essere fiduciosi del futuro del nostro mondo. Possiamo aiutarli aiutando noi stessi ad essere persone migliori. Che significa promuovere una formazione e una politica sempre più qualitative, fondate sul rispetto dell’altro e del diverso, sulla memoria, sulla conoscenza, sulla libertà, sulla democrazia, sulla Costituzione.

Quest’anno ricorre l’80° anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz e della Liberazione dal nazifascismo, ecco degli eventi epocali nel senso più profondo, che dobbiamo tramandare ai giovani perché sappiano sempre meglio opporre alla banalità del male una più piena e consapevole vita activa.

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