Luigino Bruni, professore ordinario di economia politica alla LUMSA, è un economista e storico del pensiero economico, con crescenti interessi per l’etica, gli studi biblici, per la letteratura. Interessi laterali che negli anni sono cresciuti a tal punto da cambiare la natura del suo mestiere, che è in continua evoluzione
Con il professor Bruni abbiamo fatto un lungo viaggio, durante questa intervista, partendo dai minimi comuni denominatori dell’uomo e del modo che ha di ragionare fno
ai confitti di oggi e alle loro motivazioni e narrazioni.
Il tema dell’intervista è quello del rapporto tra i fondamenti e i fondamentalismi.
Professore, normalmente qualunque popolo o nazione ha un fondamento o dei fondamenti comuni: una lingua, una cultura, un territorio, un cibo, un’etnia, una storia etc. Possono essere presenti questi fattori tutti insieme o essercene solo alcuni di essi. Però a volte questi fondamenti diventano fondamentalismi. E è successo spesso nella storia. Secondo lei è un processo che a volte può capitare, a volte no, ciclicamente ritorna, non è detto che succeda?
Non è automatico, non è meccanico, né assolutamente necessario. Ci sono stati lunghi secoli già nella nostra storia europea, basta pensare alla famosa Spagna nel Medioevo, cioè fno alla fne del ‘400, dove convivevano vari fondamenti, etnici e religiosi in un modo pacifco e positivo e abbiamo vissuto così anche in Italia, con altre lunghe fasi, dove invece sono prevalse le anime più fondamentaliste. Evidentemente le due radici della parola, fondamento come radice e fondamento come fondamentalismo possibile convivono nella storia delle persone e delle comunità. Però la civiltà è anche una lunga e costante lotta perché la prima etimologia, la prima vocazione del fondamento, prevalga sulla seconda, e quindi tutte le volte che accade il contrario, cioè che il fondamento diventa fondamentalismo, c’è una regressione delle civiltà, un imbarbarimento e c’è una perdita di libertà. Non solo di chi produce il fondamentalismo e di chi lo subisce, ma di tutti, perché un fondamentalismo è un male comune e in quanto tale ha efetti che vanno ben oltre i soggetti direttamente coinvolti.
Secondo lei, quando una società estremizza i propri fondamenti facendoli diventare fondamentalismi? E’ un problema di meccanismi politici, economici, culturali, sociali o di ideologie?
Le ideologie sono molto intrecciate con i meccanismi economico-sociali e politici. Sappiamo che le ideologie sono un’idea, una idolatria, un’idea che diventa un sistema di pensiero e d’azione grazie all’introduzione di elementi economico-politici, perché fnché l’ideologia rimane una faccenda privata, a livello del pensiero, di singole persone e non diventa azione collettiva, quell’ideologia difcilmente produce danni o anche benefci sociali. Quindi il fondamentalismo è un intreccio proprio di ideologie e di interessi di tipo economico-politico. Sono tutte e due le cose, è difcile distinguerle, proprio perché è della stessa natura del fondamentalismo questo intreccio tra idea, economia, fnanza e politica, soprattutto nei tempi moderni. Ma anche prima: basti pensare alla cosiddetta leggenda della fnanza ebraica che è stata costruita ad arte per secoli, dimenticando che la fnanza era, soprattutto, una faccenda cristiana in Europa, al 90% e più. Ma con questa storia della fnanza ebraica abbiamo alimentato l’ideologia prima antisemita e infne, nazista, fascista. Per secoli, quindi, l’intreccio è proprio parte costitutiva del fondamentalismo, il fondamentalismo non c’è senza questa commistione di ambiti.
Professore, normalmente qualunque popolo o nazione ha un fondamento o dei fondamenti comuni: una lingua, una cultura, un territorio, un cibo, un’etnia, una storia etc. Possono essere presenti questi fattori tutti insieme o essercene solo alcuni di essi. Però a volte questi fondamenti diventano fondamentalismi. E è successo spesso nella storia. Secondo lei è un processo che a volte può capitare, a volte no, ciclicamente ritorna, non è detto che succeda?
Non è automatico, non è meccanico, né assolutamente necessario. Ci sono stati lunghi secoli già nella nostra storia europea, basta pensare alla famosa Spagna nel Medioevo, cioè fno alla fne del ‘400, dove convivevano vari fondamenti, etnici e religiosi in un modo pacifco e positivo e abbiamo vissuto così anche in Italia, con altre lunghe fasi, dove invece sono prevalse le anime più fondamentaliste. Evidentemente le due radici della parola, fondamento come radice e fondamento come fondamentalismo possibile convivono nella storia delle persone e delle comunità. Però la civiltà è anche una lunga e costante lotta perché la prima etimologia, la prima vocazione del fondamento, prevalga sulla seconda, e quindi tutte le volte che accade il contrario, cioè che il fondamento diventa fondamentalismo, c’è una regressione delle civiltà, un imbarbarimento e c’è una perdita di libertà. Non solo di chi produce il fondamentalismo e di chi lo subisce, ma di tutti, perché un fondamentalismo è un male comune e in quanto tale ha efetti che vanno ben oltre i soggetti direttamente coinvolti.
Secondo lei, quando una società estremizza i propri fondamenti facendoli diventare fondamentalismi? E’ un problema di meccanismi politici, economici, culturali, sociali o di ideologie?
Le ideologie sono molto intrecciate con i meccanismi economico-sociali e politici. Sappiamo che le ideologie sono un’idea, una idolatria, un’idea che diventa un sistema di pensiero e d’azione grazie all’introduzione di elementi economico-politici, perché fnché l’ideologia rimane una faccenda privata, a livello del pensiero, di singole persone e non diventa azione collettiva, quell’ideologia difcilmente produce danni o anche benefci sociali. Quindi il fondamentalismo è un intreccio proprio di ideologie e di interessi di tipo economico-politico. Sono tutte e due le cose, è difcile distinguerle, proprio perché è della stessa natura del fondamentalismo questo intreccio tra idea, economia, fnanza e politica, soprattutto nei tempi moderni. Ma anche prima: basti pensare alla cosiddetta leggenda della fnanza ebraica che è stata costruita ad arte per secoli, dimenticando che la fnanza era, soprattutto, una faccenda cristiana in Europa, al 90% e più. Ma con questa storia della fnanza ebraica abbiamo alimentato l’ideologia prima antisemita e infne, nazista, fascista. Per secoli, quindi, l’intreccio è proprio parte costitutiva del fondamentalismo, il fondamentalismo non c’è senza questa commistione di ambiti.
Secondo lei è un intreccio o più un rapporto causa-efetto?
Nel corso della storia abbiamo entrambi i casi, abbiamo storie che nascono prima a livello di idee che poi vengono individuate, strumentalizzate, dai poteri politici ed economici e abbiamo anche il contrario, dove arriva prima l’elemento economico-politico che condiziona poi anche l’idea, basti pensare al tema dei patriottismi, delle guerre per difendere i confni territoriali. Lì sono spesso interessi politici ed economici che lavorano e alimentano molto quelle poche idee nazionaliste che negli ultimi decenni non sono così diffuse come lo erano in passato. Mentre altre volte, sono state prima le idee ad aggregarsi e a produrre mutamenti per poi cercare anche alleanze con il mondo finanziario: basti pensare, facendo un esempio positivo, ai movimenti di liberazione della donna o delle minoranze che sono partiti da persone, da pionieri, da Rosa Parks, Martin Luther King e Gandhi e poi hanno anche aggregato chiaramente interessi economici e politici. Però, se uno dovesse dividere in due il mondo, in modo artificiale, coi fondamentalismi in genere abbiamo la prevalenza dell’economico sull’idea, mentre i movimenti ideologici che producono sviluppo civile, in genere tendono a partire dall’idea e poi, solo più tardi, incontrano anche gli aspetti economici e finanziari e politici.
E magari sono sfruttati per fini commerciali/ consumistici.
Sì, sì, ovvio, il mercato fa il suo mestiere: anticipa, vede prima di noi dove c’è il business, quindi è molto bravo a individuare i luoghi di guadagno, i luoghi di profitto.
Secondo lei, si può parlare di fondamentalismo 2.0 negli ultimi 30 anni, 40 anni, oppure l’essere umano è sempre lo stesso, i meccanismi mentali, di gruppo, gli estremismi, alla fine un po’ si assomigliano?
Nel corso della storia abbiamo entrambi i casi, abbiamo storie che nascono prima a livello di idee che poi vengono individuate, strumentalizzate, dai poteri politici ed economici e abbiamo anche il contrario, dove arriva prima l’elemento economico-politico che condiziona poi anche l’idea, basti pensare al tema dei patriottismi, delle guerre per difendere i confni territoriali. Lì sono spesso interessi politici ed economici che lavorano e alimentano molto quelle poche idee nazionaliste che negli ultimi decenni non sono così diffuse come lo erano in passato. Mentre altre volte, sono state prima le idee ad aggregarsi e a produrre mutamenti per poi cercare anche alleanze con il mondo finanziario: basti pensare, facendo un esempio positivo, ai movimenti di liberazione della donna o delle minoranze che sono partiti da persone, da pionieri, da Rosa Parks, Martin Luther King e Gandhi e poi hanno anche aggregato chiaramente interessi economici e politici. Però, se uno dovesse dividere in due il mondo, in modo artificiale, coi fondamentalismi in genere abbiamo la prevalenza dell’economico sull’idea, mentre i movimenti ideologici che producono sviluppo civile, in genere tendono a partire dall’idea e poi, solo più tardi, incontrano anche gli aspetti economici e finanziari e politici.
E magari sono sfruttati per fini commerciali/ consumistici.
Sì, sì, ovvio, il mercato fa il suo mestiere: anticipa, vede prima di noi dove c’è il business, quindi è molto bravo a individuare i luoghi di guadagno, i luoghi di profitto.
Secondo lei, si può parlare di fondamentalismo 2.0 negli ultimi 30 anni, 40 anni, oppure l’essere umano è sempre lo stesso, i meccanismi mentali, di gruppo, gli estremismi, alla fine un po’ si assomigliano?
C’è un fondamentalismo che rimane costante, che è un pò legato al grande bisogno
delle radici, cioè il tema della paura, dello sradicamento.
La paura di perdersi, che è sempre stata una delle dimensioni umane, soprattutto dal
neolitico, dalle rivoluzioni agricole, quando ad un certo punto i nomadi si sono fermati, si sono legati ad un luogo, ad una terra, e quindi agli dei di quella terra, ai templi, agli
imperi, alle religioni organizzate.
Quindi da 10 mila anni in qua ci siamo molto affezionati ai nostri luoghi, perché li abbiamo associati non solo al presente, ma al passato, al futuro, agli avi e ai fgli. E quindi c’è questa dimensione identitaria, cioè che l’essere umano si perde se non vede i suoi punti di riferimento abituali. Però, se pensiamo all’Odissea, a tutto il corpus omerico, poi alla versione che da Dante di Ulisse nel famoso canto dell’inferno ma anche alla Bibbia, se pensiamo all’arameo errante, cioè a un Abramo, il primo ebreo, che a un certo punto parte, va verso la terra promessa e inizia l’esperienza che farà dire poi agli ebrei “mio padre era un arameo errante”. La Bibbia ci racconta del viandante, come immagine del fedele, cioè di qualcuno che non ha le radici, ma è sempre in ricerca. A volte, quando prevalgono le radici, dimentichiamo l’altra dimensione fondamentale, che siamo viandanti, che siamo aramei erranti, per dirla con la Bibbia, e lì nascono i fondamentalismi.
Si parla di industria 4.0 ormai, esiste un fondamentalismo 2.0? Con internet e i social è cambiato qualcosa nei metodi di reclutamento?
Siamo sempre dentro questa tensione tra il cambiamento e la resilienza, io direi che lo 80% è in continuità, poi c’è un 20% che cambia, che evolve. Chiaramente 20 anni fa, ai tempi di Bin Laden, si usavano poco i social, non c’erano o erano per pochi se c’erano. Però, se andiamo a guardare alcune costanti nella formazione dei fondamentalismi ci accorgiamo che ci sono alcune tratti comuni, innanzitutto la logica del capro espiatorio e la necessità di creare un colpevole e su questo colpevole riversare tutti i mali di quel momento storico, e poi eliminarlo.
Quindi da 10 mila anni in qua ci siamo molto affezionati ai nostri luoghi, perché li abbiamo associati non solo al presente, ma al passato, al futuro, agli avi e ai fgli. E quindi c’è questa dimensione identitaria, cioè che l’essere umano si perde se non vede i suoi punti di riferimento abituali. Però, se pensiamo all’Odissea, a tutto il corpus omerico, poi alla versione che da Dante di Ulisse nel famoso canto dell’inferno ma anche alla Bibbia, se pensiamo all’arameo errante, cioè a un Abramo, il primo ebreo, che a un certo punto parte, va verso la terra promessa e inizia l’esperienza che farà dire poi agli ebrei “mio padre era un arameo errante”. La Bibbia ci racconta del viandante, come immagine del fedele, cioè di qualcuno che non ha le radici, ma è sempre in ricerca. A volte, quando prevalgono le radici, dimentichiamo l’altra dimensione fondamentale, che siamo viandanti, che siamo aramei erranti, per dirla con la Bibbia, e lì nascono i fondamentalismi.
Si parla di industria 4.0 ormai, esiste un fondamentalismo 2.0? Con internet e i social è cambiato qualcosa nei metodi di reclutamento?
Siamo sempre dentro questa tensione tra il cambiamento e la resilienza, io direi che lo 80% è in continuità, poi c’è un 20% che cambia, che evolve. Chiaramente 20 anni fa, ai tempi di Bin Laden, si usavano poco i social, non c’erano o erano per pochi se c’erano. Però, se andiamo a guardare alcune costanti nella formazione dei fondamentalismi ci accorgiamo che ci sono alcune tratti comuni, innanzitutto la logica del capro espiatorio e la necessità di creare un colpevole e su questo colpevole riversare tutti i mali di quel momento storico, e poi eliminarlo.
Se uno dovesse dividere in due
il mondo, in modo artifciale,
coi fondamentalismi in
genere abbiamo la prevalenza
dell’economico sull’idea.
Donne e fondamentalismo, c’è stato un rapporto di evoluzione oppure rimane una
cosa da uomini?
Il fondamentalismo come si manifesta attorno a noi è un prodotto abbastanza maschile, perché il fondamentalismo politico, che produce guerre, ha molto di maschile, però esiste anche il fondamentalismo al femminile che ha altre espressioni, spesso più micro, più legate ai confitti privati, meno interessati ai grandi eventi, anche se il movimento femminista a modo suo è stato una specie di fondamentalismo buono e lo è ancora nel mondo. È difficile distinguere la natura dalla cultura, c’è un mondo dominato dai maschi, in tutto e per tutto, ha prodotto un modo maschile di essere fondamentalista, chissà tra 20-30 anni quando le donne avranno più spazio nella sfera pubblica, magari anche i fondamentalismi cambieranno forma, diventeranno più femminili, ma per ora è talmente intrecciato l’elemento maschile con il fondamentalismo per motivi storici che distinguere l’aspetto in sé dalla dimensione di genere diventa quasi impossibile, perché conosciamo pochi fondamentalismi al femminile.
Parliamo per un momento di linguaggio. Alcuni hanno avuto l’impressione, dopo l’utilizzo della parola genocidio a Sanremo, che si volesse accomunare qualunque genocidio all’Olocausto in un uso del linguaggio che diventa una sorta di grande livellatore, per cui tutto è uguale, e quindi poi alla fne tutto ha poco importanza.
Sicuramente il linguaggio non è mai neutrale e le parole, come diceva già Sant’Agostino, diventano logore se vengono usate male. C’è un effetto di banalizzazione del linguaggio, quindi chiaramente genocidio ha un riferimento specifico, perché genocidio non è Shoah e non è un Olocausto. Quindi sono molto d’accordo con Edith Bruck quando dice che bisogna utilizzare le parole senza banalizzarle, senza usarle come armi di massa che producono soltanto danni, quindi anche io non userei genocidio. Però bisogna usare una parola che gli assomiglia perché comunque quello che sta accadendo in questi mesi in Palestina, a Gaza, è qualcosa di molto brutto ed è qualcosa di molto grave, qualcosa che non possiamo considerare normale nei con fitti tra Stati.
In Europa ci siamo uccisi per 3 mila anni almeno, ed era normalissimo per un francese pensare a un tedesco come a un nemico da uccidere. Oggi è impensabile. C’è una possibilità del genere anche per il medio oriente?
Ogni regione ha le sue caratteristiche, se noi guardiamo la Bibbia, lì i con fitti sono cominciati 4.000 anni fa, tra i Filistei e gli occupanti di quella terra. Però anche rimanendo in un’analogia imperfetta con l’Europa, noi siamo riusciti a trovare una certa pace perché abbiamo fatto delle istituzioni precise, c’è stato un intervento immenso della politica, abbiamo avuto un aiuto significativo della parte dell’America, abbiamo fatto un processo dove abbiamo investito tantissima energia. Questi 70 anni di pace sono il frutto di un lavoro legato al grandissimo, all’immenso dolore di milioni di morti e di una distruzione epocale dell’Europa. Questo ha prodotto lavoro istituzionale e politico di altissimo livello di veri e propri geni istituzionali. Servirebbero cose di questo genere, almeno tentare un lavoro istituzionale, mettersi insieme agli stessi tavoli. Noi abbiamo cominciato con i processi a metterci insieme, a provare a dialogare tra gente che si ammazzava fino a due giorni prima. Quindi prendiamo questa analogia imperfetta e cominciamo tutti a immaginare nuovi piani Marshall e che la comunità internazionale possa fare da attivatore di qualcosa, e poi il processo di pace deve essere anche voluto e fatto dai protagonisti di questo conflitto.
Ultima domanda, secondo lei ci sono soluzioni politiche o economiche per la risoluzione di questo con fitto, dove con questo con fitto non intendo quello del 7 ottobre, ma il con fitto nella sua interezza?
Quelle politiche stiamo vedendo che sono complesse. Io mi auguro una reazione interna in Israele che porti un atteggiamento un po’ più dialogico in termini di politica, diciamo estera, però anche dall’altra parte, questo complicatissimo intreccio tra l’Autorità Palestinese e Hamas, con il con fne fra terrorismo e politica che rende tutto molto sfumato, ci porta a condizioni politiche molto molto fragili. Io sono stato diverse volte negli anni passati in Terra Santa, e la vita dei non ebrei di Israele è stata sempre molto complicata dal punto di vista economico e quando il popolo non ha questa dimensione assicurata, diventa anche molto più di fcile fare accordi politici, quindi io in questo caso speci fico, spingerei molto sull’economico per ottenere anche cambiamenti politici.
Il fondamentalismo come si manifesta attorno a noi è un prodotto abbastanza maschile, perché il fondamentalismo politico, che produce guerre, ha molto di maschile, però esiste anche il fondamentalismo al femminile che ha altre espressioni, spesso più micro, più legate ai confitti privati, meno interessati ai grandi eventi, anche se il movimento femminista a modo suo è stato una specie di fondamentalismo buono e lo è ancora nel mondo. È difficile distinguere la natura dalla cultura, c’è un mondo dominato dai maschi, in tutto e per tutto, ha prodotto un modo maschile di essere fondamentalista, chissà tra 20-30 anni quando le donne avranno più spazio nella sfera pubblica, magari anche i fondamentalismi cambieranno forma, diventeranno più femminili, ma per ora è talmente intrecciato l’elemento maschile con il fondamentalismo per motivi storici che distinguere l’aspetto in sé dalla dimensione di genere diventa quasi impossibile, perché conosciamo pochi fondamentalismi al femminile.
Parliamo per un momento di linguaggio. Alcuni hanno avuto l’impressione, dopo l’utilizzo della parola genocidio a Sanremo, che si volesse accomunare qualunque genocidio all’Olocausto in un uso del linguaggio che diventa una sorta di grande livellatore, per cui tutto è uguale, e quindi poi alla fne tutto ha poco importanza.
Sicuramente il linguaggio non è mai neutrale e le parole, come diceva già Sant’Agostino, diventano logore se vengono usate male. C’è un effetto di banalizzazione del linguaggio, quindi chiaramente genocidio ha un riferimento specifico, perché genocidio non è Shoah e non è un Olocausto. Quindi sono molto d’accordo con Edith Bruck quando dice che bisogna utilizzare le parole senza banalizzarle, senza usarle come armi di massa che producono soltanto danni, quindi anche io non userei genocidio. Però bisogna usare una parola che gli assomiglia perché comunque quello che sta accadendo in questi mesi in Palestina, a Gaza, è qualcosa di molto brutto ed è qualcosa di molto grave, qualcosa che non possiamo considerare normale nei con fitti tra Stati.
In Europa ci siamo uccisi per 3 mila anni almeno, ed era normalissimo per un francese pensare a un tedesco come a un nemico da uccidere. Oggi è impensabile. C’è una possibilità del genere anche per il medio oriente?
Ogni regione ha le sue caratteristiche, se noi guardiamo la Bibbia, lì i con fitti sono cominciati 4.000 anni fa, tra i Filistei e gli occupanti di quella terra. Però anche rimanendo in un’analogia imperfetta con l’Europa, noi siamo riusciti a trovare una certa pace perché abbiamo fatto delle istituzioni precise, c’è stato un intervento immenso della politica, abbiamo avuto un aiuto significativo della parte dell’America, abbiamo fatto un processo dove abbiamo investito tantissima energia. Questi 70 anni di pace sono il frutto di un lavoro legato al grandissimo, all’immenso dolore di milioni di morti e di una distruzione epocale dell’Europa. Questo ha prodotto lavoro istituzionale e politico di altissimo livello di veri e propri geni istituzionali. Servirebbero cose di questo genere, almeno tentare un lavoro istituzionale, mettersi insieme agli stessi tavoli. Noi abbiamo cominciato con i processi a metterci insieme, a provare a dialogare tra gente che si ammazzava fino a due giorni prima. Quindi prendiamo questa analogia imperfetta e cominciamo tutti a immaginare nuovi piani Marshall e che la comunità internazionale possa fare da attivatore di qualcosa, e poi il processo di pace deve essere anche voluto e fatto dai protagonisti di questo conflitto.
Ultima domanda, secondo lei ci sono soluzioni politiche o economiche per la risoluzione di questo con fitto, dove con questo con fitto non intendo quello del 7 ottobre, ma il con fitto nella sua interezza?
Quelle politiche stiamo vedendo che sono complesse. Io mi auguro una reazione interna in Israele che porti un atteggiamento un po’ più dialogico in termini di politica, diciamo estera, però anche dall’altra parte, questo complicatissimo intreccio tra l’Autorità Palestinese e Hamas, con il con fne fra terrorismo e politica che rende tutto molto sfumato, ci porta a condizioni politiche molto molto fragili. Io sono stato diverse volte negli anni passati in Terra Santa, e la vita dei non ebrei di Israele è stata sempre molto complicata dal punto di vista economico e quando il popolo non ha questa dimensione assicurata, diventa anche molto più di fcile fare accordi politici, quindi io in questo caso speci fico, spingerei molto sull’economico per ottenere anche cambiamenti politici.