Elzir Izzeddin, originario della Palestina, è un imprenditore e un Imam. Arrivato in Italia nel 1991 per studiare moda a Firenze vive da ormai più di 30 anni nel Bel Paese.
Quando i fondamenti di un popolo, quindi una lingua comune, una storia comune,
una regione comune si trasformano in fondamentalismi?
Spesso sentiamo parlare dei fondamenti come se fossero una cosa negativa, invece, tornare ai fondamenti è una cosa positiva. Il pericolo avviene quando diventano fondamentalismi, quando diventa una questione di bandiera, quando la si alza di fronte ad un altro, quando diventa un muro. Se questi fondamenti si usano per costruire ponti, ben vengano. Ne abbiamo bisogno, perché spesso i muri alzati, sono l’allontanamento dai nostri fondamenti, dalla base dei nostri principi, in particolare se questa base è una base religiosa. Le basi religiose devono aiutare a costruire ponti, non muri.
Secondo lei, la genesi del fondamentalismo è sempre la stessa perché è sempre lo stesso l’essere umano, oppure è cambiata a seconda della cultura, del contesto, del Paese?
Certamente cambia in base al contesto, paese e cultura. Ognuno ha una realtà, una situazione, una cultura diversa e tutti questi elementi danno un’indicazione diversa sulla lettura sul fondamentalismo e sul fondamento.
Quando un fondamentalismo diventa radicale o violento?
Quando qualcuno alza la sua bandiera perché pensa che la sua è l’unica verità e quindi che deve cancellare gli altri.
Spesso sentiamo parlare dei fondamenti come se fossero una cosa negativa, invece, tornare ai fondamenti è una cosa positiva. Il pericolo avviene quando diventano fondamentalismi, quando diventa una questione di bandiera, quando la si alza di fronte ad un altro, quando diventa un muro. Se questi fondamenti si usano per costruire ponti, ben vengano. Ne abbiamo bisogno, perché spesso i muri alzati, sono l’allontanamento dai nostri fondamenti, dalla base dei nostri principi, in particolare se questa base è una base religiosa. Le basi religiose devono aiutare a costruire ponti, non muri.
Secondo lei, la genesi del fondamentalismo è sempre la stessa perché è sempre lo stesso l’essere umano, oppure è cambiata a seconda della cultura, del contesto, del Paese?
Certamente cambia in base al contesto, paese e cultura. Ognuno ha una realtà, una situazione, una cultura diversa e tutti questi elementi danno un’indicazione diversa sulla lettura sul fondamentalismo e sul fondamento.
Quando un fondamentalismo diventa radicale o violento?
Quando qualcuno alza la sua bandiera perché pensa che la sua è l’unica verità e quindi che deve cancellare gli altri.
Negli ultimi 20 anni i vari movimenti fondamentalisti si sono evoluti in una sorta
di fondamentalismo 2.0 oppure la radice è sempre la stessa?
Purtroppo le cose evolvono con la tecnologia. E questo dimostra la loro contraddizione visto che da un lato si dichiarano contro la tecnologia e il modernismo, ma dall’altra parte usano gli strumenti della modernità.
Per questo, questi movimenti fondamentalisti, io preferisco chiamarli estremisti, vivono questa contraddizione e usano il modernismo per i loro interessi e infatti non penso che abbiano un futuro. Dobbiamo combattere questi movimenti estremisti.
Ha seguito le polemiche legate a Sanremo e alla parola genocidio?
Mi dispiace che noi a volte ci sofermiamo sulle parole e sul linguaggio, che è molto importante e utile, ma dimentichiamo che si tratta di vite umane che muoiono. È importante il linguaggio, ma entrare in polemica non serve a chi viene ucciso e a chi uccide. Serve entrare in dialogo e non in polemica.
Noi a Firenze, con la Comunità Ebraica, abbiamo un dialogo fortissimo, diciamo le cose in maniera trasparente ma con grande rispetto verso il prossimo.
Purtroppo le cose evolvono con la tecnologia. E questo dimostra la loro contraddizione visto che da un lato si dichiarano contro la tecnologia e il modernismo, ma dall’altra parte usano gli strumenti della modernità.
Per questo, questi movimenti fondamentalisti, io preferisco chiamarli estremisti, vivono questa contraddizione e usano il modernismo per i loro interessi e infatti non penso che abbiano un futuro. Dobbiamo combattere questi movimenti estremisti.
Ha seguito le polemiche legate a Sanremo e alla parola genocidio?
Mi dispiace che noi a volte ci sofermiamo sulle parole e sul linguaggio, che è molto importante e utile, ma dimentichiamo che si tratta di vite umane che muoiono. È importante il linguaggio, ma entrare in polemica non serve a chi viene ucciso e a chi uccide. Serve entrare in dialogo e non in polemica.
Noi a Firenze, con la Comunità Ebraica, abbiamo un dialogo fortissimo, diciamo le cose in maniera trasparente ma con grande rispetto verso il prossimo.
Dopo il 7 ottobre mi sembra che al di là delle vittime umane, la vera vittima
defnitiva sia un possibile processo di pace.
Negli ultimi 20 anni non si parla più di pace. La convivenza è possibile. Non è vero che i palestinesi non possono vivere con gli ebrei e viceversa. Il come è un altro discorso. Io credo in uno stato laico democratico che accoglie tutti i suoi concittadini, ma dobbiamo avere fiducia, dobbiamo vivere e convivere insieme. Non si può eliminare uno e l’altro.
Ci sono possibili processi economici o politici che possono risolvere questa situazione?
Non è un discorso economico, ma di diritti. Le Nazioni Unite hanno dichiarato che questa terra è stata divisa senza chiedere il permesso ai suoi abitanti, i palestinesi. C’è lo stato di Palestina e lo stato di Israele. Le Nazioni Unite devono garantire l’esistenza dello stato della Palestina oltre a quello di Israele. Solo dopo si può parlare di processi economici e culturali che possono aiutare le due parti. Ma prima devono garantire l’uguaglianza. Non si può avere un dialogo se uno ha lo stato e l’altro no, se c’è sottomissione. Chi decide sul territorio palestinese è Israele. I palestinesi non possono decidere niente.
E gli arabi cristiani? Sono i più sfortunati?
Anche se si tratta di una minoranza, va aiutata. I cristiani devono aiutare i loro fratelli cristiani in Palestina. Non sono ospiti, sono autoctoni. Gesù è nato nella terra di Palestina. Io chiedo ai miei fratelli nella religione di aiutarli a non andare via. Nella lotta della resistenza palestinese abbiamo tantissimi leader cristiani, questo dobbiamo ricordarlo.
Negli ultimi 20 anni non si parla più di pace. La convivenza è possibile. Non è vero che i palestinesi non possono vivere con gli ebrei e viceversa. Il come è un altro discorso. Io credo in uno stato laico democratico che accoglie tutti i suoi concittadini, ma dobbiamo avere fiducia, dobbiamo vivere e convivere insieme. Non si può eliminare uno e l’altro.
Ci sono possibili processi economici o politici che possono risolvere questa situazione?
Non è un discorso economico, ma di diritti. Le Nazioni Unite hanno dichiarato che questa terra è stata divisa senza chiedere il permesso ai suoi abitanti, i palestinesi. C’è lo stato di Palestina e lo stato di Israele. Le Nazioni Unite devono garantire l’esistenza dello stato della Palestina oltre a quello di Israele. Solo dopo si può parlare di processi economici e culturali che possono aiutare le due parti. Ma prima devono garantire l’uguaglianza. Non si può avere un dialogo se uno ha lo stato e l’altro no, se c’è sottomissione. Chi decide sul territorio palestinese è Israele. I palestinesi non possono decidere niente.
E gli arabi cristiani? Sono i più sfortunati?
Anche se si tratta di una minoranza, va aiutata. I cristiani devono aiutare i loro fratelli cristiani in Palestina. Non sono ospiti, sono autoctoni. Gesù è nato nella terra di Palestina. Io chiedo ai miei fratelli nella religione di aiutarli a non andare via. Nella lotta della resistenza palestinese abbiamo tantissimi leader cristiani, questo dobbiamo ricordarlo.
Essere disposti all’ascolto e
al confronto è l’unico modo
per tenere accesi i canali di
dialogo.
Come si fa con l’odio reciproco?
Io sono di Ebron, ho vissuto per 20 anni in Israele, ma non ho mai avuto un pensiero antisemita. Ho scoperto l’antisemitismo qui in Italia. Non siamo mai stati educati ad odiare gli altri perché sono ebrei e parlano un’altra lingua. Io ho addirittura imparato l’ebraico, anche se dopo tanti anni in Italia l’ho dimenticato. Ma siamo fratelli, non nemici. In una situazione di guerra, purtroppo, non si ragiona nella fratellanza. Dobbiamo dare a tutti i propri diritti. In pochi mesi così si potrà diventare fratelli. Gli ebrei sono nostri fratelli, nostri cugini.
Io sono di Ebron, ho vissuto per 20 anni in Israele, ma non ho mai avuto un pensiero antisemita. Ho scoperto l’antisemitismo qui in Italia. Non siamo mai stati educati ad odiare gli altri perché sono ebrei e parlano un’altra lingua. Io ho addirittura imparato l’ebraico, anche se dopo tanti anni in Italia l’ho dimenticato. Ma siamo fratelli, non nemici. In una situazione di guerra, purtroppo, non si ragiona nella fratellanza. Dobbiamo dare a tutti i propri diritti. In pochi mesi così si potrà diventare fratelli. Gli ebrei sono nostri fratelli, nostri cugini.