Dialogo con Padre Javier Giraldo
Introduzione di Giovanna Martelli – Segretaria Generale della Fondazione Rut
“Devo confessare che non ho letto integralmente l’opera di Hannah Arendt” così inizia il dialogo con Padre Javier Giraldo, azzardo a scrivere che anche le contadine e i contadini della Comunità di Pace di San José di Apartadó non hanno letto integralmente l’opera della Arendt.
Eppure le loro scelte di vita sono intrise del pensiero della filosofa e teorica politica ebrea statunitense. Storia, azione politica, potere, violenza, dominio, lavoro, spazio pubblico, sfera privata, accomunano la testimonianza di Padre Javier Giraldo, la vita della Comunidad de Paz de San José de Apartadó e il pensiero di Hannah Arendt.
La denuncia permanente delle cause della violenza e la schizofrenia dello Stato Colombiano, “apparentemente rispettoso della legge ma in realtà complice della repressione”, nella guerra mondiale a pezzi del secolo XXI, è la rappresentazione di quel totalitarismo mai sconfitto, che in America Latina ha agito con il volto delle dittature, dello sfruttamento della terra per mano delle multinazionali, degli eserciti irregolari, della politica complice della criminalità.

Ma è nel “pensare” che la Comunità di Pace trova la connessione più profonda con Arendt. Pensarsi come Comunità con principi e regole decise collettivamente, dentro un cammino di resistenza non violenta e di rifiuto radicale della guerra, fatto di dialogo e di gestione del potere in comune. Una Polis a salvaguardia di una condizione umana che è agire e parlare riconoscendo la pluralità del pensiero, lavorare per migliorare noi stessi e gli altri, partecipare alla vita pubblica della comunità per essere liberi, dentro una relazione paritetica con la Terra e la Natura.
Così le piccole storie di vita delle contadine e dei contadini della Comunità de Paz si incrociano con la grande pensatrice del novecento, che nella sua vita ha vissuto la discriminazione, lo stigma, la violenza, l’esilio e il non riconoscimento della sua stessa comunità proprio per il suo non adattarsi all’omologazione del pensiero. Anche in questo “non riconoscimento” ritornano la vita e la storia di Padre Javier Giraldo e la Comunidad de Paz.
Così come un’altra storia si somma a quella di Javier Giraldo e della Comunità. Non è un caso che a fianco delle lotte delle contadine e dei contadini di San Josè ci sia una presenza italiana fatta dalle volontarie e dai volontari del Corpo di Pace della Comunità Papa Giovanni XXiii fondata da Don Oreste Benzi. Il prete che stava sulla strada con le ragazze ridotte in schiavitù dal mercato del sesso a pagamento, che ha portato a cospetto di Papa Giovanni Paolo II una di loro malata terminale di AIDS, vicino per tutta la vita agli ultimi, agli scartati. Anche in queste scelte di Don Oresta quanta Hannah Arendt troviamo, specie nell’agire politico e profetico.
Per noi che abbiamo il privilegio di conoscere, vivere piccoli pezzi del loro cammino e raccontare un po’ di tutti loro e che ci chiamiamo Fondazione Rut, rimane una responsabilità: mantenere integro il filo del dialogo tra le nostre differenze, ancorate in una radice comune e rivoluzionaria: il rifiuto totale dell’idolatria che nella società di oggi è il modello economico predatorio, il consumo sfrenato, la distruzione dell’ambiente. L’assenza del Pensare.
Grazie a Monica Puto e a Silvia De Munari di Operazione Colomba per averci supportato nell’intervista a Padre Javier Giraldo.
Cosa significa per lei ricordare Hannah Arendt? E perché il suo pensiero è ancora attuale oggi?
Devo confessare che non ho letto integralmente l’opera di Hannah Arendt. Ho letto alcuni suoi testi e sicuramente la riconosco come una delle figure emblematiche della resistenza antinazista in Europa, una resistenza che si è incarnata in una filosofia dell’essere umano che ha permeato l’intera vita politica e sociale di Arendt. Il suo pensiero, così come il pensiero di altre grandi figure storiche della resistenza, ha rappresentato per noi una fonte inesauribile di ispirazione in tutti i processi sociali che abbiamo portato avanti qui in Colombia. Portando alla luce le radici dell’attentato contro la libertà umana che si nasconde dietro tutti i progetti fascisti e imperialisti, Hannah Arendt è diventata un simbolo della lotta antifascista. Il suo pensiero, la sua filosofia, le sue analisi sono ancora vie a cinquant’anni dalla morte, e lei continua a rappresentare un punto di riferimento nella battaglia contro tutte le derive totalitarie.
Come si manifesta oggi in Colombia la “banalità del male”?
La banalità del male di cui ha parlato Hannah Arendt è qualcosa che sentono, vivono e soffrono quotidianamente tutte le società che subiscono forme di repressione e violenza. Qualche tempo fa partecipai a un incontro dell’Asamblea Nacional de Psiquiatría de Colombia. Fu un’occasione per riflettere sul modello economico e politico che abbiamo qui in Colombia, e sui processi sociali che storicamente si oppongono a quel modello. Mi chiedevo allora: come possono un’intera classe politica, le istituzioni e la società civile colombiane essere plasmate da quel modello? Abbiamo forse due modelli di stato in Colombia? Due modelli che convivono e che si completano a vicenda? La risposta è no. Lo stato è uno solo ma è uno stato che io definisco schizofrenico, perché ha una doppia identità, la stessa che si proietta anche nella personalità di coloro che di questa società fanno parte. In Colombia abbiamo una società e uno stato che fanno di tutto per darsi una parvenza di legalità ma che al contempo agiscono secondo un altro modello, alternativo al primo, fatto di passività, connivenza, tolleranza. Queste persone dicono di rispettare lo stato di diritto, di muoversi all’interno delle sue leggi, ma in realtà tollerano che altri subiscano i crimini più atroci che si possano immaginare. Nessuna protesta, nessun processo di resistenza. Per questo mi riferisco allo stato colombiano come a uno stato schizofrenico, con una doppia personalità. Apparentemente rispettoso delle leggi ma in realtà complice della repressione. È questa la banalità del male qui in Colombia. Queste persone sfiorano il male senza toccarlo, senza nominarlo, lo tollerano, e questo finisce per non avere un peso morale. In ciò consiste la perversione della politica in Colombia, nel tollerare quotidianamente il male senza commetterlo direttamente, semplicemente accettandolo.
Come vivete nella Comunità di Pace di San José de Apartadó quella che Arendt definisce “l’espropriazione del mondo”?
Nella riflessione di Arendt l’espropriazione della terra si proietta nell’espropriazione del mondo, nella distruzione degli spazi condivisi e della memoria. È quanto abbiamo vissuto e continuiamo a vivere qui nella Comunità di Pace di San José de Apartadó, ma lo stesso accade in molte altre comunità di pace o comunità indigene della Colombia. Per lo stato la terra è una mercanzia mentre per le comunità native, qui in America Latina e nel mondo intero, è la Madre Terra, non una mercanzia. Ci sono testi bellissimi che descrivono il legame delle comunità indigene con la Madre Terra, la relazione di reciprocità con essa. Per questa ragione l’espropriazione della terra è qualcosa impossibile da spiegare con le parole.
Qual è il valore del Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) in questo contesto di lotta?
Nell’ultima sessione del Tribunale Permanente dei Popoli dedicata alla Colombia abbiamo denunciato i crimini contro l’umanità in America Latina. Hannah Arendt aveva riconosciuto il cuore stesso della politica nella capacità dei popoli di ribellarsi, senza delegare ad altri. Il Tribunale dei Popoli rappresenta proprio questo, ovvero la capacità della base sociale, dei popoli stessi, di mobilitarsi Questo è il valore giuridico del TPP. Il consenso gli deriva non dalle leggi ma dai popoli vittimizzati.
Secondo lei, ha ancora senso oggi parlare di lotta ai totalitarismi?
A distanza di decenni la lotta contro gli stati totalitari è la stessa. Percorriamo lo stesso cammino, alcuni ci hanno preceduto e speriamo che molti di più ci seguiranno.

Padre Javier Giraldo Padre Javier Giraldo è fondatore della Banca Dati sui Diritti Umani del CINEP e Coordinatore del Tribunale Permanente dei Popoli sui crimini di lesa umanità in America Latina. Da oltre 25 anni, Padre Javier Giraldo accompagna le comunità colombiane resistenti nei confronti degli attori armati che da oltre 60 anni perpetrano la violenza nei confronti della popolazione civile. La sua incessante opera ha permesso di conoscere le testimonianze e le storie che narrano come, principalmente nelle zone rurali, il conflitto si è impadronito della vita dei suoi abitanti. La sua voce di denuncia ferma, le sue azioni categoriche in difesa dei diritti umani, la lotta all’impunità e la critica al modello economico capitalista e mercantilista, rappresentano un riferimento autorevole per tutte le difensore e i difensori dei diritti umani in Colombia e nel Mondo. Dalla sua costituzione, 23 marzo 1997, accompagna la Comunità di Pace di San José de Apartadó e la supporta davanti alle autorità governative colombiane e agli organismi internazionali che operano nel campo dei diritti umani. |

Comunidad de Paz de San José de Apartadó Il 23 marzo 1997, un gruppo di contadine e contadini del corregimiento di San José, nell’Urabà Antioqueño da vita alla Comunità di Pace di San José di Apartadó. Il progetto di vita comunitaria è un impegno collettivo di non partecipazione alla guerra, a non collaborare con nessun attore armato di alcuna tendenza, a non partecipare alle colture di uso illecito e a vivere secondo un progetto di vita comune basato su quindici principi di convivenza, tra questi: il rispetto del pluralismo del pensiero e dell’espressione, la solidarietà, il dialogo trasparente, la libertà, la resistenza e la giustizia sociale. Fin dalla sua costituzione, la Comunità di Pace ha subito violenze di ogni tipo per indebolire e annullare questo modello di resistenza civile non violenta e di difesa della Terra. L’indifferenza dello Stato Colombiano e la mancanza di protezione hanno esposto le contadine e i contadini delle Comunità di Pace esecuzioni, sparizioni, violenze sessuali, sfollamenti forzati, torture, incendi delle culture e delle case, dominio territoriale da parte del paramilitarismo. Oltre 300 persone appartenenti alla Comunità sono state assassinate dal 1997 ad oggi, il 19 marzo del 2024 Nayeli Sepulveda di 30 anni ed Edison David di 15 anni sono stati assassinati a colpi d’arma da fuoco presso il villaggio La Esperanza. Gli assassini sono impuniti.Nonostante tutto questo, la Comunità di Pace continua il suo cammino di resistenza non violenta mantenendo il suo progetto di vita comunitaria. Il 5 giugno 2025 il Presidente della Repubblica di Colombia Gustavo Petro, riconoscerà la responsabilità internazionale e porgerà le scuse pubbliche alla Comunità di Pace di San José de Apartadó per i massacri e le esecuzioni extragiudiziali subite nel corso degli anni di vita della Comunità. |