Messico il coraggio delle madres buscadoras

di Laura Fano

In un paese dilaniato da narcotraffico e corruzione, sempre più donne si mettono in cerca dei corpi dei loro parenti spariti raschiando le fosse comuni. Le chiamano anche “cittadine forensi”
Il Messico non è ufcialmente un paese in guerra. I dati sulla violenza, sugli omicidi e sulle sparizioni forzate mostrano però un contesto molto simile a quello di un confitto interno. Come sempre più in tutti i paesi dell’America Latina, una rete capillare di narcotrafco, grandi gruppi di criminalità organizzata e corruzione delle istituzioni, soprattutto quelle locali, creano una situazione di pericolo estremo e continuo per la popolazione civile. Negli ultimi anni, inoltre, il Messico ha preso il posto della Colombia come paese di rafnazione della droga, oltre che di distribuzione, con la presenza dei grandi cartelli criminali, il più famoso quello di Sinaloa. Tuttavia, poco si conosce delle gravi violazioni dei diritti umani, delle sparizioni, degli assassinii di tanti cittadini e tante cittadine, che, molto spesso, pur non avendo compiuto alcun reato, si trovano semplicemente ad aver assistito a un crimine commesso di fronte ai loro occhi. Ciò per cui il Messico è diventato famoso è purtroppo il numero di femminicidi. Negli anni ‘90 la citta di Ciudad Juárez nello stato di Chihuahua divenne tristemente famosa per l’alto tasso di omicidi eferati ai danni di donne. La crudezza di tali crimini si mostrava anche nella maniera in cui essi venivano perpetrati: le vittime erano infatti spesso violentate e i loro corpi venivano smembrati e trovati abbandonati in campi deserti o lungo le strade. Ciò portò anche a una rifessione accademica sul signifcato di tali uccisioni e all’adozione nel 2007 del termine femminicidio nel sistema legale messicano.
Ciò che è meno conosciuto è il numero di desaparecidos registrato nel paese. Si stima che ad oggi in Messico ci siano più di 100.000 persone sparite, per motivi legati alla presenza dei gruppi criminali e del narcotrafco. Le persone ufcialmente registrate come sparite tra il 1962 e il 2024 sono per la precisione più di 114.000.

Tuttavia, la cifra contenuta nel registro ufciale è sicuramente sottostimata. Il numero dei desaparecidos è aumentato signifcativamente a partire dal 2007, quando l’allora presidente Calderón diede inizio alla cosiddetta “guerra al narcotrafco” consistente in una militarizzazione di molte zone del paese.
Ciò che sta accadendo in Messico può essere defnita una catastrofe umanitaria. Le sparizioni, le rapine e assalti a mezzi di trasporto pubblico, la tratta di persone e il trafco di droga permeano l’intera società.
Spesso questi eventi sono ai danni di semplici cittadini che non sono coinvolti nelle attività criminose, ma si trovano ad essere ‘colpevoli’ di esser venuti a conoscenza di troppe cose. Inoltre, la violenza può avere il semplice scopo di difondere paura e sottomissione nella popolazione locale.

In risposta a questa tragedia enorme e alla collusione e corruzione delle istituzioni locali che non si adoperano per ritrovare le persone scomparse, il carico di farlo ricade interamente sulle famiglie. Famiglie nella maggior parte dei casi signifca donne: madri, sorelle, mogli e fglie, che compongono circa 234 collettivi di vittime in tutto il paese, rischiando spesso la vita. Nonostante si tratti di parenti delle vittime, il nome dato al movimento e ai collettivi è quello di madres buscadoras. Il termine madre assume dunque un signifcato ampio, simbolico e politico, che va oltre la funzione biologica riproduttiva. Di fronte all’inattività dello Stato, si deve alle madres il ritrovamento di persone in vita, così come di resti in fosse comuni. Per questo motivo sono anche chiamate “cittadine forensi”. La loro attività consiste principalmente nella ricerca materiale dei corpi e dei resti dei loro parenti scomparsi, raschiando la terra delle circa 5.500 fosse comuni che sono state rilevate dalle autorità tra il 2007 e il 2023. Questo numero rende evidente la gravità della situazione, facendo del Messico il più grande cimitero clandestino di tutta l’America Latina, da cui sono stati estratti 298 corpi, così come numerosi frammenti di ossa. Il lavoro delle madres rascadoras (madri che raschiano la terra) le pone a un rischio estremo per la loro sicurezza, quella delle loro famiglie e per la loro stessa vita. Solamente nell’ultimo anno cinque madri sono state uccise nel paese. Le istituzioni avevano promesso di fornire loro aiuto, protezione e fondi, che però non si sono mai materializzati. In alcuni di questi casi le madri sono state uccise nella stessa situazione che ha portato alla scomparsa dei propri cari, perché i responsabili del crimine cercano di bloccare in ogni modo la ricerca dei desaparecidos. La negligenza delle autorità locali e dei governi degli stati federali che compongono il Messico gioca un ruolo fondamentale nel perpetrarsi di questi crimini, nonostante il governo centrale abbia ripetutamente afermato il suo impegno nel cercare le persone scomparse. Tuttavia, la rabbia delle madri è rivolta alle istituzioni in generale ed è questa rabbia, insieme al dolore, che le spinge nel loro lavoro di ricerca, nonostante i gravi pericoli a cui vanno incontro.
“Per questo motivo sono anche chiamate “cittadine forensi”. La loro attività consiste principalmente nella ricerca materiale dei corpi e dei resti dei loro parenti scomparsi, raschiando la terra delle circa 5.500 fosse comuni che sono state rilevate dalle autorità tra il 2007 e il 2023. Questo numero rende evidente la gravità della situazione, facendo del Messico il più grande cimitero clandestino di tutta l’America Latina”
Oltre al pericolo e all’impunità delle autorità, esse soffrono dei rimproveri e delle pressioni da parte dei propri familiari. I mariti spesso si oppongono al loro attivismo richiamandole al lavoro tradizionalmente loro assegnato di madri e donne che devono prendersi cura dei familiari rimasti in vita. Di fatto, tra le persone in cerca dei propri cari, nove su dieci sono donne. Questa maternità condivisa richiama l’esperienza delle Madres de Plaza de Mayo in Argentina. Le stesse leader di vari collettivi messicani affermano di essere state ispirate da questa esperienza.

Esse infatti iniziano cercando il proprio figlio, ma, incontrando donne nella loro situazione e unendosi in collettivi, danno luogo ad una socializzazione della maternità, divenendo le madri di tutti i desaparecidos, rendendola così uno strumento politico. I collettivi si sono infatti uniti in un movimento nazionale, il Movimiento por Nuestros Desaparecidos, che nel 2017 ha ottenuto l’adozione della Legge Generale sulla Sparizione Forzata (Ley General de Desaparición Forzada). La socializzazione della maternità viene espressa dalle stesse attiviste. Una donna afferma infatti che la sua lotta è “per tutti i desaparecidos, non solo per mio fglio. Sarebbe un atto egoista cercare solamente una persona”. Alcune affermano che “non possono abbandonare le loro sorelle solamente perché hanno ritrovato il loro “tesoro”.

Un esempio è quello di Cecilia Flores, attivista e autrice del libro Madres Buscadoras, crónica de la desesperación, che, in cerca dei suoi due fgli scomparsi, ha ritrovato più di 200 corpi in tutto il Messico. Questa “altra maternità” porta le madri a cercare tutti coloro che mancano all’appello.
La socializzazione della maternità è anche un forte strumento di unione tra le integranti dei collettivi e fonte di energia necessaria per portare avanti questo lavoro così doloroso. Spesso i collettivi diventano per loro nuove famiglie, dove si riconoscono per il fatto di condividere la stessa pena e la stessa indignazione.

Si tratta di nuove famiglie che aiutano anche a superare il machismo dei propri mariti che si oppongono alla loro lotta e che le vorrebbero a casa. Si creano così delle reti sociali intime tra le integranti dei movimenti, capaci di sostenerle nella loro attività e che le aiutano a mantenere alto il loro morale, contribuendo ad alleviare quel dolore che le fa sentire muertas vivas (morte in vita).

Questa maternità collettiva, che ha permesso di ritrovare 1300 persone vive, oltre a centinaia di corpi e di resti di desaparecidos, di fronte alla totale inattività delle istituzioni, svolge anche una funzione fondamentale di chiusura di ferite aperte, che non permettono di elaborare il lutto. Finché una persona sparita rimane tale, le famiglie non riescono infatti a chiudere un capitolo tragico che non smette di torturarle per tutta la vita. Un altro aspetto che mostra il carattere politico della socializzazione della maternità è il contributo che queste donne forniscono alla creazione di memoria.

Su loro richiesta, alcune organizzazioni della società civile hanno creato memoriali e hanno iniziato a raccogliere testimonianze personali, affinché il dolore e il duro lavoro svolto dalle madres diventi pubblico.Raccogliere tali testimonianze è inoltre necessario perché l’accesso ai registri ufficiali è spesso negato dalle autorità, che adducono come motivo la confidenzialità delle investigazioni. Di fronte a questo e ai tanti altri ostacoli posti sul loro cammino dalle istituzioni, le madres continuano nella loro lotta contro l’impunità, la morte e il dolore, trasformando il loro ruolo materno in un atto politico.
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