La sfida di oggi? Trovare madri consapevoli

Intervista a Corrado Augias di Raffaele Buscemi

Abbiamo intervistato Corrado Augias, giornalista, scrittore e conduttore italiano, noto per i suoi programmi culturali e libri su storia e misteri d’Italia. Nato nel 1935, ha collaborato con testate come “La Repubblica” e ha condotto programmi TV come “Le Storie” su Rai 3. A lui abbiamo chiesto una visione letteraria ma anche storia sul tema “Madri”.
Nella sua esperienza di giornalista e scrittore, come crede che il ruolo della madre sia cambiato negli ultimi 10-20 anni?

L’unico cambio che vedo, dico la verità, è nel fatto che le donne e madri oggi lavorano in una percentuale superiore a quella che era quando io ero giovane, dunque un impegno doppio, gravosissimo, perché in una situazione del genere sono fondamentali gli asili nido e le varie assistenze. Con mia moglie abbiamo vissuto in Francia, a Parigi, dove gli asili nido erano già molto numerosi, molti di più che in Italia e questo aiutava. In Italia gli asili nido in alcune regioni ci sono, in altre sono quasi sconosciuti e questo credo sia una delle principali ragioni assieme a molte altre per cui la maternità tende a contrarsi, a essere meno, perché prima di assumere un impegno del genere ci si pensa sei volte.

Lei ha avuto tante colleghe? Perché il mondo del giornalismo, nei miei ricordi, è quasi sempre stato 50/50.

Non proprio così, soprattutto è cambiato, devo dire, dal primo numero di Repubblica, quando è cambiata la posizione e delle colleghe femmine all’interno della redazione della pagina del giornale, nel senso che una delle novità che introdusse Repubblica fu che alle donne venivano affidati due temi fino a quel momento non praticati da colleghe donne: cioè la politica estera e l’economia. Alle donne erano assegnati compiti femminili, il giardino, la floricoltura, lo svezzamento dei neonati, ma le cose “serie” è con La Repubblica che vengono prese da donne con conseguente prima pagina, cosa che fino a quel momento non avveniva.

Le madri in Italia sono spesso rappresentate come fgure di sacrificio e abnegazione: la mamma che dà tutto per i fgli, la mamma che si annulla, lei pensa che questo archetipo sia ancora vivo e vegeto o è sparito e sta morendo?

Tendenza alla parificazione dei doveri di allevamento della prole, per gli uomini e per le donne, cosa che quando io era giovane non esisteva: gli uomini non si occupavano di cucina, non si occupavano di fare la spesa, non si occupavano dei bambini, salvo per quei familiari rapporti affettivi. Oggi non è così, l’affettuoso peso dei figli, tende ad essere distribuito tra le due componenti della coppia, anche nel caso di coppie omosessuali. I bambini vengono distribuiti: è appena andato via un mio collaboratore divorziato, con un bambino di 5 anni e il bambino sta un po’ con il padre e un po’ con la madre (separati). Quindi la situazione è in evoluzione. Vorrei dire che poche cose sono in evoluzione come il concetto di famiglia, compreso l’onere di allevare, intrattenere, nutrire i figli.
Nel suo lavoro ha esplorato numerosi temi legati alla cultura e alla società. Come descriverebbe l’evoluzione della fgura materna, non nella società, ma nella letteratura, nei media, nel modo in cui è rappresentata?

Vedo un cambiamento a partire da due momenti storici: uno è durante la guerra 39-45, quando la donna è diventata protagonista di storie, perché essendo gli uomini impegnati nella guerra, molti compiti fno ad allora svolti da uomini venivano svolti da donne.

Dunque dalla realtà di questo cambiamento imposto dalle cose, si è passati alla sua rappresentazione letteraria: mi viene in mente il romanzo, bellissimo, “La storia” di Elsa Morante, dove questa cosa è spiegata benissimo.

L’altro momento di parifcazione e di trasferimento nella letteratura, è la guerra di resistenza e di liberazione, dove le donne ebbero un ruolo importante, ora come combattenti, ora come stafette, rifornimenti, logistica, e si è verifcato un altro fenomeno che dalla realtà è stato trasferito nella letteratura. Perché i personaggi, i tipi, trasfgurino in una trasposizione di fnzione letteraria, teatrale, musicale, bisogna prima che le realtà li crei.

Quali sono, secondo lei, le opere letterarie, flm, musica recenti e non recenti, che rappresentano meglio le sfde e le gioie della maternità? A me ad esempio viene in mente “Venuto al mondo” di Margaret Mazzantini. C’è la regia di “Un bambino mai nato” della Fallaci, però è un argomento spinoso.
Nella sua carriera ha incontrato fgure materne particolarmente signifcative che in qualche modo l’hanno infuenzata?

Mia madre, per esempio. Lei era una donna di grandi capacità, notevole intelligenza che le condizioni storico-economiche dell’epoca hanno relegato per tutta la vita nel ruolo della casalinga, è stato uno spreco che la società si è permessa.

Ecco una cosa che oggi accade di rado: donne di grande capacità riescono a sottrarsi, a compensare, a mettere insieme alcuni doveri domestici condividendoli con gli uomini e alcune funzioni pubbliche, lavorative professionali. Allora non era possibile. Questo è stato per mia madre fonte di frustrazione, di cui lei era consapevole a metà: sapeva di poter fare e dare di più di quanto la società del tempo le permettesse, ma era prigioniera di quello schema.

Questa cosa io l’ho capita tardi, ero bambino, ma quando l’ho capito, sulla base di quel fltro, quello schema ho interpretato anche quei cambiamenti che si sono succeduti nei decenni e ho potuto apprezzarli proprio in quanto avevo presente quell’origine, da dove eravamo partiti. Ovviamente il cammino è lungo, ma la situazione di oggi è incomparabile a quella che c’era negli anni ‘30. Quasi 100 anni fa.

Questa esperienza si è riflessa nel modo in cui poi lei ha educato i suoi figli?

Sicuramente sì, ma mia figlia si è educata da sola. Certo è stata educata, ma avendo la fortuna che entrambi i suoi genitori sono stati giornalisti, a tavola, mangiando, sentiva discussioni, fatti del giorno, commenti, riferimenti storici: era una sorta di complemento della storia. E proprio per questo, appena finito il liceo, ha fatto l’università in Inghilterra, si è laureata in letteratura inglese. Dove è rimasta e oggi è corrispondente da Londra della Rai e dove i suoi tre figli vivono. Il cambiamento, nel caso della nostra famiglia, è stato a cascata: noi abbiamo tre nipoti, uno di 30 anni e due gemelli di 28 e tutti e tre lavorano in Inghilterra.

Il primogenito è professore a Oxford, una lavora nel management di un’azienda e il terzo sta a Londra e ha fatto vari lavori, poi troverà la sua strada. Questa cascata di educazione è venuta praticamente da sola, noi ci siamo limitati a non ostacolarla.
“Vorrei dire che poche cose sono in evoluzione come il concetto di famiglia, compreso l’onere di allevare, intrattenere, nutrire i figli.”
Se in un programma televisivo lei dovesse raccontare la storia di una mamma di oggi, quali sarebbero gli elementi essenziali che chiederebbe ai suoi autori di trovare?

La storia tipica di una madre è, in primo luogo, la scelta di essere una madre, che è una cosa rara, perché molte coppie decidono scientemente di non fare figli. Una delle ragioni l’abbiamo detta poc’anzi, ma ce ne sono molte altre che dipendono dall’economia sì, ma è anche l’aria del tempo che spinge a non fare figli, perché ci sono molte possibilità, distrazioni, occasioni, soprattutto nella parte meno educata del paese, paradossalmente, di fare altro, che non stare appresso a un bambino, che è un impegno gravosissimo. E quindi cercherei una madre consapevole, che ha scelto di diventare madre, che segue l’educazione del bambino e che cerca di adattare una funzione vecchia come l’umanità al travolgente mutamento dei tempi: quello che ci sta accadendo è enorme, è un cambiamento di civiltà, di cultura, di Politica… In questo momento mettere al mondo un fglio comporta una carica di responsabilità doppia, di consapevolezza doppia rispetto a periodi più facili.

Personalmente ho cercato su vari media come viene rappresentata la maternità e l’unica narrazione delle madri che ho trovato è quella di madri che hanno subito trauma, non ho trovato quasi mai mamme normali.

Ma è normale questo, perché la letteratura, l’invenzione, la fiction, sempre parlano di casi particolari. Dai quotidiani alla letteratura, quello che si racconta non è la normalità, perché la normalità è la normalità, scorre, è il dramma che si racconta, per due ragioni: una banalmente narrativa, perché il dramma attrae e la normalità annoia e poi perché dall’anormalità, dal dramma, è più facile che si ricavi un insegnamento, si susciti un’emozione, si metta al vivo un momento particolare nella storia, quindi non troverà una mamma normale. Non c’è ragione di descrivere una mamma normale, anche se grazie al cielo, le mamme normali sono la maggioranza delle mamme.

E se invertiamo normalità e anormalità? Faccio un esempio personale: praticamente nessuno dei miei amici, al netto dei cattolici praticanti, e nessuno degli amici di mia moglie ha figli. Forse oggi l’anormale siamo noi attorno con poco più di 30 anni e due fglie. Una signora con figli è anormale in certi ambienti, non essendo più così comune.

Si, ci sono tante cause, è un fenomeno analizzato lungamente e non riguarda solamente l’Italia, anche se noi siamo molto avanti, o indietro insomma. Dipende dal punto di vista.
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