Fluidità e gender, ecco il vero patriarcato

Intervista a Eugenia Maria Roccella di Flavia Landolfi

“Abbiamo combattuto per anni la retorica della maternità e ora quasi quasi la rimpiango”. Per Eugenia Roccella, ministra delle Pari opportunità e della famiglia non è iperbolico parlare di attacco al materno che è frutto, dice, della “decostruzione del corpo femminile, lo spezzettamento, la frammentazione del materno e la sua immissione nel mercato”. Il cambio di rotta richiede però nuove politiche, denari pubblici. E un progetto, una visione. “Mi piacerebbe – scandisce – istituire l’assistente materna, una fgura non professionale che stia vicina alla neomamma i primi giorni di vita del bambino”.

Ministra Roccella, nei suoi interventi lei fa spesso richiamo alla necessità di rimettere le madri al centro. Cosa signifca?

Io direi piuttosto di metterle al centro per la prima volta perché le madri al centro non lo sono mai state. In passato c’è stata casomai una retorica del materno che ha riscosso molta e giusta ostilità da parte del femminismo, ma che oggi quasi rimpiango.

In che senso?

Una volta sgombrato il campo dalla retorica della mamma italiana non c’è più stato nulla che abbia sostituito in modo un po’ più accettabile quel tipo di narrazione. Il punto fondamentale è il fatto che la cittadinanza è costruita sul corpo maschile. Quello che esula dal territorio del diritto è proprio il materno: l’essere due in uno non è proprio contemplato o è contemplato come un’eccezione.

È vero quel che sostengono alcune femministe e cioè che oggi sia in atto un attacco al materno?

È vero e chiama in causa le nuove forme di patriarcato. Noi individuiamo il patriarcato soltanto in alcune modalità e in alcuni costrutti storici e sociali, ma in realtà oggi ci sono nuove forme: prima di tutto la decostruzione del corpo femminile, lo spezzettamento, la frammentazione del materno e l’immissione del materno nel mercato globale.

Nel 2022 il tasso di occupazione femminile è del 56,5%, contro il 71% degli uomini e contro una media Ue che assegna alle donne il 70%. C’è stato nell’ultimo anno un timido aumento dello 0,2% dice l’Istat ma insomma il quadro non è roseo. Come ne usciamo?

Io sono molto soddisfatta in realtà perché è la prima volta che assistiamo a un’inversione di tendenza così signifcativa in così poco tempo: più donne occupate e soprattutto a tempo indeterminato. Nonostante le risorse limitate, perché il bilancio statale è stato interamente ipotecato dal Superbonus, questa è stata una delle nostre priorità.

I numeri che riguardano le madri non sono entusiasmanti però: sempre secondo l’Istat il tasso di occupazione è dell’80,7% per le donne single, 75% per quelle che vivono in coppia ma senza fgli con un crollo al 58,3% per le madri. Sono numeri impressionanti, cosa si può fare per mettere un argine?

Il fatto di dover scegliere fra un fglio o il lavoro è veramente una cosa inaccettabile e noi siamo intervenuti con la decontribuzione dal secondo figlio, perché quello che salta agli occhi è il fatto che le donne nelle indagini dicono di volere due fgli e poi bene che va ne fanno uno.

Perché?

Perché è sul secondo che inizia a sentirsi la mancanza di aiuto e di organizzazione adeguata. Quindi quello sul quale abbiamo cercato di puntare è proprio su questa possibilità, se le donne vogliono, di fare un secondo figlio: la decontribuzione al secondo figlio, gli asili nido gratuiti dal secondo figlio. È una questione anche culturale sulla quale dobbiamo lavorare.

Lei si riferisce alla misura della decontribuzione per le lavoratrici madri dal secondo fglio con un tetto massimo di 3mila euro annui. Non si poteva osare di più come fanno in altri paesi europei dove i fgli sono considerati una risorsa collettiva e non un problema individuale?

Noi veniamo da 70 anni di politiche fortemente antinataliste soprattutto nel mondo asiatico. Le crisi demografiche si aggravano a velocità crescente perché meno figli significa in pochi anni meno donne. Altri paesi sono intervenuti per tempo, quando le coorti di donne fertili erano ancora molto consistenti.

In Italia siamo svantaggiati perché a lungo la denatalità è stata ignorata. Ma ormai investe tutta Europa e ampie parti del mondo.

Torniamo alle madri italiane: lavorano poco e sono abbandonate a loro stesse soprattutto nei primi mesi di vita dei bambini. Un bel problema.

Qui c’è un discorso più ampio che noi dovremmo fare sulla riduzione delle reti parentali, sulla solitudine, che investe certamente anche la maternità. Uno dei progetti che vorrei mettere in campo è l’istituzione di un’assistente materna, un accompagnamento per le donne che è oggi necessaria proprio perché si è persa quella rete di trasmissione di saperi femminili.
“Io sono dalla parte delle donne, dalla parte della libertà delle donne, dalla parte della diferenza. Questo è per me un punto fermo, il mio faro.”
Di cosa si tratta?

L’istituzione di una fgura non sanitaria. In Francia c’è qualcosa del genere, e anche qua e là, in altri paesi. Penso a un sostegno non specializzato, che però aiuti la neomamma a non sentirsi sola, un supporto nelle piccole incombenze quotidiane. Perché le donne oggi, a parte la paura del parto, non hanno nessuno che gli parli della maternità, dell’esperienza del mettere al mondo un bambino: e quindi l’essere madre è diventata una grande incognita densa di dubbi.

Quando pensa che potrà essere realizzato?

Non abbiamo ancora un orizzonte temporale. Quel che è certo è che sarà una misura messa in campo a livello sperimentale come la decontribuzione dal secondo fglio. Le risorse sono poche, dobbiamo stare molto attenti a mirare verso politiche efcaci che se non funzionano vanno abbandonate o ricalibrate.

Lei ha varato dei protocolli con le aziende per lo sviluppo del welfare aziendale per le lavoratrici. Non è un modo per delegare alle imprese quel che dovrebbe fare lo Stato?

No, prima di tutto noi non siamo statalisti e dirigisti, l’idea è proprio quella invece di stimolare la vitalità di una società e poi soprattutto se vuoi mettere in atto un cambiamento culturale profondo non puoi calarlo dall’alto: lo devi costruire sollecitando tutti gli attori in campo. E il lavoro femminile, la compatibilità, il bilanciamento vita-lavoro è qualcosa di cui un’impresa oggi non può non occuparsi. C’è stata una buona risposta anche per quanto riguarda la certifcazione di genere delle imprese, una misura inserita nel Pnrr e già realizzata prima del traguardo previsto nel 2026.

Molte donne quando tornano al lavoro dopo la maternità si trovano in condizione di svantaggio.

Questo non deve accadere e devo dire che la cultura di impresa su questo fronte ha fatto passi da gigante. Ma c’è un aspetto sul quale bisogna lavorare pancia a terra: le competenze materne sui luoghi di lavoro, le cosiddette life skills, sono la via. Il bilanciamento secondo me è già cosa vecchia, ora bisogna spingere per valorizzare i saperi delle madri che lavorano.

In che senso?

Non c’è nulla di più evidente delle competenze che tu acquisisci attraverso la maternità, l’ascolto attivo, il multitasking: queste abilità devono essere valorizzate all’interno di un’azienda e non mortifcate. Invece noi questa cosa la stiamo ancora maturando, dobbiamo ancora uscire, fguriamoci, dalle forme di penalizzazione.

Assegno unico, altra misura al centro delle cronache perché oggetto in questi giorni del deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia Ue: la Commissione ritiene che l’impianto della legge italiana discrimini i lavoratori mobili degli altri Stati membri. Come interverrete?

Non posso dire niente di certo al momento, ma se il requisito della residenza verrà meno bisognerà valutarne la sostenibilità economica. Andiamo avanti con il confronto con l’Europa e vediamo cosa succede. In ogni caso una misura di sostegno alle famiglie non solo sarà mantenuta ma sarà potenziata.

Parliamo di maternità surrogata. Il Senato l’ha dichiarata reato universale e adesso il disegno di legge passerà alla Camera per il varo defnitivo. Perché introdurre un nuovo reato quando l’Italia, al contrario, ha un problema enorme di sovraffollamento carcerario? E comunque non rischia di essere una legge bandiera?

Perché il problema non è mandare in carcere le persone.

E allora qual è lo scopo?

Il divieto di ricorrere alla surrogata c’era già con la legge 40 che però veniva tranquillamente aggirata andando all’estero. Il reato universale è una sintesi giornalistica, quello che si voleva affermare è semplicemente che un cittadino italiano che va all’estero per commissionare un figlio deve essere sanzionato allo stesso modo che se il reato fosse commesso in Italia. In quanto all’efficacia io credo sarà un forte deterrente.
Tra le questioni più spinose di attacco al materno ce n’è una odiosa perché perpetrata dallo Stato: l’uso della Pas nei tribunali. Non pensa che il governo dovrebbe intervenire e non lasciare una materia così delicata in mano ai soli giudici?

Questa è una questione squisitamente culturale e devo dire che mi fa molto piacere ricordare che sono state delle sentenze a bocciare la Pas, la sentenza della Cassazione che la dichiarava costrutto privo di qualunque base scientifica e anche molto pericoloso per i bambini.

Non si possono usare teorie che non siano validate scientificamente, riconosciute dalla comunità di riferimento in maniera univoca. E questo piano piano è qualcosa che è emerso. Intervenire dal punto di vista legislativo è estremamente difficile. Io però lì vorrei dire una cosa.

Cosa?

Che alla base di tutto c’è un equivoco paritarista. Alessandra Bocchetti scrisse che la parità è un criterio omicida. Allora, senza essere così radicali posso dire che credo nelle pari opportunità, che è una cosa diversa dalla parità. Le pari opportunità riconoscono la differenza e puntano a valorizzarla. Questo è il cuore del problema. Il femminismo della differenza lo ha spiegato molto bene.

Se tu non parti dal riconoscimento della differenza, di cui il materno è un elemento fondamentale, entri in uno spazio in cui tutto può succedere. Pensiamo a quello che sta accadendo ora con l’atleta nelle gare pugilistiche alle Olimpiadi di Parigi.

La Pas nasce e cresce in questo brodo culturale.
A questo proposito una recente ordinanza della Cassazione ha spiegato che i neonati fgli di genitori separati devono dormire con la propria madre fno ai tre anni. Che ne pensa?

Sono molto d’accordo, può sembrare pure una cosa retrò ma io penso che invece sia importante riconoscere che avere una vita dentro il tuo corpo è una cosa che i maschi non possono avere e che crea con il neonato una relazione speciale di cui il bambino ha bisogno.

Voltiamo pagina, parliamo del 7 ottobre con il suo carico di orrore. Lei ha proposto di istituire in quell’anniversario la giornata contro i femminicidi di massa. Perché?

È un’idea più che una proposta. Che nasce da una considerazione: gli stupri di guerra hanno una loro tipica specificità, sono una cosa orribile, molto precisa, che ha le sue caratteristiche, ma tra le caratteristiche c’è quella di essere utilizzata come arma nel mezzo del confitto. In questo caso, invece, il 7 ottobre è stato pianificato con una ferocia indicibile. È successo qualcosa di peggiore del già orribile stupro di guerra. E quindi, al di là di qualsiasi diversità di posizione sul confitto israelo-palestinese, trovo davvero incredibile il silenzio del femminismo italiano.

E qui tocchiamo un tasto sensibile. Lei si è più volte dichiarata femminista. Cosa significa essere femministe in un governo di destra?

Io sono dalla parte delle donne, dalla parte della libertà delle donne, dalla parte della differenza. Questo è per me un punto fermo, il mio faro. Ci sono alcune cose nella vita che non possono cambiare e lo stare dalla parte delle donne è per me sicuramente una di queste. Venendo alla sua domanda, no, non provo alcun imbarazzo e non vivo alcuna difficoltà a stare a destra, penso che oggi, tra fluidità egender che per me sono forme di patriarcato mascherate, si abbia invece qualche difficoltà a stare a sinistra. Io al contrario sto bene dove sto.
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