Dare dignità alle donne generatrici di vita

Conversazione con Adriana Cavarero di Simona Vinci

Adriana Cavarero non ha bisogno di molte presentazioni, ma se dobbiamo scegliere un modo per raccontare di lei a chi non la conosca, cominceremmo con il dire che è una flosofa, ha insegnato Filosofa politica all’Università di Verona, e che i due capisaldi del suo pensiero sono “il pensiero della diferenza sessuale” e quello di Hannah Arendt, pensatrice politica tedesca che si occupò di violenza e totalitarismi, di crisi della Repubblica e di disobbedienza civile, e che teorizzò, nel 1964, con il celeberrimo, omonimo libro “La banalità del male”, libro che in molte e molti citiamo senza averlo magari letto per davvero.
Adriana nasce a Bra, in provincia di Cuneo il 7 maggio del 1947, sotto il segno del Toro e, questa domanda non gliel’ho fatta, ma chissà se si riconosce nei tratti di un tipo astrologico materno e solido, sicuro, affettuoso e stabile, nurturing, come si direbbe in inglese. Forse no, se, a quanto mi ha raccontato, ha avuto il suo unico figlio in giovane età, quando forse non era ancora pronta del tutto per essere madre vista la sua ambizione, i suoi interessi e la sua carriera in costruzione. Ma, ci siamo dette, ogni maternità è diversa, e a qualunque età questa avvenga ci sono i pro e i contro. Vorrebbe essere nonna, ma non crede che lo diventerà. Questa è una delle tante questioni delle quali abbiamo parlato in una lunga, divagante intervista telefonica mentre io mi trovavo a casa, a Budrio insoferente per una bronchite eterna a quaranta gradi e lei in montagna, in luogo fresco e solitario, col golfino sulle spalle.

Entrambe fumatrici, ci siamo confrontate sull’irrimediabilità di questo vizio che ci appartiene e del quale non sappiamo fare a meno anche se sappiamo benissimo che faremmo meglio a smettere. La voce di questa donna battagliera mi arriva alle orecchie con una perentoria dolcezza, questo ossimoro che mi sembra renda bene l’idea di una persona che ha fatto del dubbio e dell’interrogazione costante sull’esistenza il suo modus vivendi ma che al tempo stesso ha raggiunto alcune certezze di pensiero, a questo punto inscalfibili, perché supportate dalla biologia. “Io sono una filosofa” mi ha detto a un certo punto della nostra conversazione, “devo dare una significazione al fatto empirico e mi attengo al dato.” Provo a fare ordine in una conversazione magmatica e a raccontarvi le domande che le ho posto, partendo dalla lettura e rilettura appassionata del suo ultimo libro, “Donne che allattano cuccioli di lupo.

Icone dell’Ipermoderno”, pubblicato da Castelvecchi nel 2023. Libro molto letto e consigliato e diventato occasione di dibattito tra i vari femminismi che si interrogano con entusiasmo, forza e anche con molte, e accese divisioni, sul tema del materno. Parte da una visione della maternità non idealizzata e non pacificata, utilizzando come grimaldello la letteratura e l’esempio di tre scrittrici contemporanee: Elena Ferrante, Clarice Lispector e Annie Ernaux per andare a interrogare anche il versante buio e tremendo della maternità e del corpo gravido.

Scrive Cavarero, citando una frase di Lispector – “chi è costretto in vita è femmina” – che la gravidanza è “fenomeno esclusivamente femminile” e “permette di conoscere una “verità” essenziale della condizione umana, che al corpo integro dell’altro sesso non è dato esperire.”
E dunque ho cominciato dal cuore ovvero: perché la questione “Maternità” è ancora aperta? Perché se ne parla così tanto? Perché è urgente? Perché la maternità è ancora e sempre uno scandalo?

Intanto noi ci troviamo nei paesi occidentali e se è vero che in qualsiasi epoca la maternità ha le sue peculiarità, le sue prerogative, è anche vero che da sempre, sempre, la madre è il luogo dove tutti nasciamo. Vero è anche che ogni epoca ha la sua torsione del fatto della maternità; da una parte attraversata da una preoccupazione che ci dice della denatalità, come se le donne qui, in questa parte di mondo, non facessero il loro dovere. E non fosse lecito per le donne decidere, se non lo vogliono, di non fare figli. Come se dovessero sempre giustificarsi.

E poi c’è in atto una sorta di guerra contro le donne incrementata dal fatto che la sinistra – una vasta area di sinistra progressista, quella nella quale io milito da sempre – mostra una grande attenzione, un’attenzione forse esagerata per i diritti delle minoranze. Ora, è sempre giusto essere attenti ai diritti delle minoranze, chiariamoci bene, ma c’è come una deformazione per eccesso di attenzione, una sorta di deriva ideologica indotta da una fascinazione per posizioni ritenute di avenguardia. Per esempio, il tema scottante della Gestazione Per Altri, GPA, dove viene trattato il tema dell’utero in affitto come se riguardasse soprattutto le minoranze omosessuali, ma il più del 90 per cento delle persone che vi accedono sono coppie eterosessuali.

Avanguardia dei diritti e impostazione ideologica, ma la maternità surrogata riguarda, di fondo, corpi eterosessuali. Ed è lo sfruttamento del corpo di donne povere, insomma, è un’industria della procreazione che mercifica il potere generativo femminile.
Questo immediato affondo di Cavarero sulla Gestazione per Altri mi ha fornito subito il LA per farle una domanda cruciale e alla quale tengo molto anche per il percorso psicoanalitico che ho seguito e mi ha portato a pormi certe domande che hanno a che fare con l’inevitabile interrogazione su noi stesse e noi stessi. La narrazione di sé.

Mi spiego: ciascuna e ciascuno di noi, da una certa età dell’infanzia in avanti ha assoluto bisogno di sapere da dove viene e comincia a farsi e fare (talvolta in modo assillante) domande sulla propria origine: mamma, ma io come sono nata/nato? Come sono stato concepito? In quale situazione, per quale motivo? Sono stata o stato desiderato? Come sono letteralmente venuta e venuto al mondo? Partorita e partorito? Ogni persona che sia stata adottata sa che a un certo punto della vita, la domanda sulla propria “vera” origine, affiora, ed è motivo di sofferenza e talvolta di senso di colpa: i genitori adottivi sono i tuoi genitori, quelli che ti hanno desiderato, cresciuto e amato, ma l’impronta della tua faccia sta in un altro volto che non conosci, i tuoi movimenti probabilmente si riflettono in un corpo del quale non immagini le movenze, e qualcosa, dentro, ti spinge a voler sapere.

È sempre difficile, per un genitore adottivo ma anche per un genitore biologico che abbia seguito la via “classica” e fortunata della riproduzione senza fecondazione assistita, trovare le parole per dire di quell’origine: papà e mamma ti hanno desiderato, la storia del semino e dell’uovo, eccetera eccetera, ma secondo me il bambino o la bambina vogliono sapere non tanto la meccanica della generazione, ma la sua narrativa. Il mito. Ogni nascita in effetti, ogni venuta al mondo, ha il sapore del mito. E quindi, partirò da una provocazione: cosa succederà a quella creatura che un giorno domanderà conto del suo mito personalissimo e si sentirà rispondere “sei stata comprata e venduta?” Adriana è colpita dalla mia domanda, mi dice che è esattamente così, che ci si concentra sul diritto di avere un figlio e mai sul diritto di quella creatura che viene generata per essere figlia di. Tua madre ti ha venduto.
“Il parto è la cosa più violenta che io abbia sperimentato: la scissione, la separazione, è il trauma originario.”

Marguerite Duras, in conversazione con Michelle Porte

Natura è nascita, creazione. Φύσις, in greco e in latino da nascor. E il corpo della madre è appunto la natura, l’origine condivisa del genere umano. Pensa invece a questo: viene espiantato l’ovulo di una donna – anche quello a pagamento, ovviamente – e predilette dal mercato sono le donne ucraine perché bionde e con gli occhi azzurri, ora, la guerra di Putin ha scombinato un po’ questo fiorente commercio, ma procediamo, questa donna, per essere sicuri che produca più ovuli viene imbottita di ormoni, poi questi ovuli le vengono espiantati, vengono fecondati in vitro e, una volta fecondati, vengono impiantati nell’utero di un’altra donna.

Ci troviamo dunque queste attrici del dramma:
1) c’è la donatrice dell’ovulo;
2) c’è la donna gestante e partoriente;
3) c’è poi la donna o l’uomo, la coppia, etero o gay committente.

La donna gestante non importa di che razza sia perché non trasmette patrimonio genetico. E infatti molte cliniche si trovano in India. Però qualche problema c’è, perché ci vuole un’altissima specializzazione nei centri dove questa tecnica viene eseguita, perché un feto che ha un altro patrimonio genetico rispetto a quello della gestante nella quale viene impiantato, ha spesso un’alta probabilità di rigetto. Ora, questo bambino che nasce, qual è la sua origine? Penso: ha due madri e presto ne avrà tre (o forse avrà un padre, o due): una madre gli ha fornito il patrimonio genetico, ma non l’ha conosciuta, la seconda è il corpo che l’ha custodito e fatto crescere per nove mesi, la voce, il battito cardiaco che ha conosciuto, la terza, sarà quella che lo crescerà. Se possiamo usare i termini per come stanno le cose questo bambino è stato acquistato, comprato, con il contributo di due donne e né l’una né l’altra verrà chiamata madre. Se la coppia che lo ha “ordinato” e “comprato” è una coppia composta da due uomini, questo bambino non avrà mai una madre, il certificato di nascita attesterà che è figlio del solo genitore maschio committente che, nello specifico, ha fornito il seme. Il bambino portato in Italia è figlio di un solo padre e non della madre. Ora, questo sarà il mito generativo che può essere narrato a una bambina o a un bambino se gli si vuole raccontare la verità. Se si vuole continuare su questa tratta, occorrerà trovare le parole per raccontare ad un essere umano un’origine che ha del fantascientifico e che prefigura una nuova umanità, una nuova etica. Ora, so benissimo che una parte di coloro che stanno leggendo già si stanno indignando perché sentono leso quello che rivendicano come un sacrosanto diritto. Già, aferma Adriana: “Il diritto alla genitorialità. Siamo reazionarie, siamo fasciste se affermiamo che, se posta la questione in questi termini, un diritto alla genitorialità non esiste, non dovrebbe esistere.

È quello che dicevo: dovrebbe venire prima il diritto a una nascita che non rechi con sé una mitologia traumatica e contraria al dato biologico. Fin dove può spingersi la scienza senza trascinare sotto le ruote del progresso le persone che verranno al mondo? Basta l’amore, dice qualcuno, l’amore che ti verrà donato da coloro che ti hanno desiderato così tanto da evocarti e comperarti. Le faccio allora un’altra domanda, che ha a che fare con il corpo materno e la rappresentazione della gravidanza. Dopo il Concilio di Trento del 1545, che segna la riforma della Chiesa Cattolica, vengono fatte sparire e considerate sacrileghe, tutte le Madonne gravide, le Madonne del Parto- celeberrima quella di Piero della Francesca – e ancora oggi, si discute del fatto se sia lecito esibirla, quella pancia, se non possa in qualche modo offendere chi non riesce a rimanere incinta, chi non abbia la possibilità di portare a termine una gravidanza, eppure, quell’immagine di una potenza eccezionale – penso al ventre dell’opera di Pino Pascali del 1965, un ventre rotondo che sporge da una tela, materico, vivo – come può essere vissuto come un affronto o una forma di violenza? È impensabile, a fronte di questo fastidio, questa sensazione, io inviterei le donne a pensarsi non in quanto femmine che vorrebbero generare ma femmine generate, si pensino in quanto figlie, pensino alla propria origine, ossia al ventre della propria madre, quel ventre che le ha custodite e le ha generate. Come può, quel ventre che le ha custodite essere un afronto?
Si parla molto dell’Ipermaterno, si discute se le madri non abbiano spesso troppo potere sui figli e se questa condizione che fagocita i figli sia qualcosa di malsano che dovrebbe essere in qualche modo disinnescato, cosa ne pensa?

Sono favorevole all’Ipermaterno, alla rappresentazione mitologica nella letteratura antica e moderna del ‘tremendo’ inerente allo ‘strano potere della maternità’, come dice Virginia Woolf. La madre che opprime i figli e non se ne distacca mette in luce un aspetto inquietante della maternità che non può essere taciuto, depotenziato. L’elemento inquietante e ambivalente, tremendo, della maternità è proprio la complicità assoluta della partoriente con quel processo generativo della natura che possiamo chiamare ZOE. ‘Deinon’, inquietante perturbante: una delle poche esperienze che gli esseri umani fanno di una complicità con la natura, e questo processo non lo comandi. Pensa alle BACCANTI: l’inquietante esperienza diretta di qualcosa che in filosofa è un concetto astratto… la vita, la natura… qui è molto concreta, perché è vita singolare, Zoe che si impossessa del tuo corpo volente o nolente, può non piacere tutto questo discorso, ma deve essere pensato.

L’approccio alla maternità come un diritto, ovvero: “se io ho desiderio e se non ci riesco ne ho comunque diritto” andrebbe ragionato, l’attenzione non dovrebbe essere sui diritti individuali, questa è una celebrazione del neoliberismo, non sempre i desideri possono diventare diritti. Prima dei diritti viene la biologia. Se pensi alla definizione persona con utero, la senti l’ostilità per il dato biologico della differenza sessuale? È un modo per non scontentare nessuna e nessuno e le donne ancora una volta sono costrette a fare un passo indietro rispetto alla loro biologia, io lo trovo inaccettabile.

Cosa ne pensi del fenomeno dei “mammi”? I padri degli ultimi decenni sono molto cambiati rispetto al ruolo tradizionale che prevedeva una divisione molto netta dei ruoli, oggi ci sono tanti uomini che suppliscono, e bene, alla funzione materna, ma in un certo senso io trovo che la fagocitino e facciano confusione rispetto al rapporto che possono e devono creare con i loro figli.

Il Mammo resta un padre che supplisce a una funzione, una funzione materna, ma non può trasformarsi in una madre. Deviare dal concetto di virilità stereotipi, nutrire e curare come funzione che può essere svolta da un uomo va bene, ma far nascere e partorire, questo può farlo solo un corpo di donna. Sia nei dibattiti sui media sia nei documenti normativi non si parla più di diritto alla maternità, ma di diritto alla genitorialità. Il diritto materno sarebbe LGBT escludente, non è inclusivo, non va bene, dunque la genitorialità è l’escamotage inclusivo. Rimane il fatto nudo e crudo cui mi attengo come filosofa e cioè che sono le donne a portare avanti la gravidanza e partorire.

A settembre uscirà un mio nuovo libro per Mondadori dal titolo “Donna si nasce” un gioco sulla famosa affermazione di Simone De Beauvoir che “donna non si nasce, ma si diventa”. Questo libro, che ho scritto insieme a Olivia Guaraldo, è inteso soprattutto per fare chiarezza; se ci atteniamo al dato biologico, se non facciamo metafisica, constatiamo che le donne partoriscono e gli uomini no. Partire dal dato e restituire significazione al dato stesso. Questo è il mio apporto filosofico alla discussione, pazienza se qualcuna e qualcuno si dimentica la mia storia di persona, donna di sinistra e di tutte le battaglie femministe che ho portato avanti nella mia vita, anche questa lo è. Dare dignità alla donna in quanto essere biologico, con una sua peculiarità, quella di poter dare la vita attraverso il suo corpo.
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