Il fondamentalismo islamico: un fiume con molte fonti

di Davide Saponaro

Sono ormai alcuni decenni che nei mezzi di comunicazione di massa ha fatto il suo ingresso il termine “fondamentalismo”, in genere accoppiato all’aggettivo “islamico”. Ma che cosa si intende precisamente per “fondamentalismo”? La Treccani apre la voce dedicata a questo termine come segue: caratteristica dei movimenti religiosi, ma anche ideologici e politici, che propugnano un ritorno radicale ai «fondamenti» di una dottrina, identifcati come autentici e infallibili.
Non tutti sanno che il termine nasce in realtà in ambito cristiano protestante; si trattava di un movimento nato negli Stati Uniti nell’ultimo quarto del sec. XIX. Esso si proponeva di opporsi alle letture moderne e critiche della Bibbia, adottando un’interpretazione letterale del testo sacro. Venivano delineati una serie di punti della fede irrinunciabili, definiti fundamentals, e pubblicati anche una serie di saggi intitolati appunto Te Fundamentals: a testimony to truth (Chicago, Testimony Publishing Company, 1910-1915). È bene chiarire subito che nell’islam il fondamentalismo non è affatto tradizionale né connaturato alla struttura profonda di questa cultura ma è invece un prodotto della modernità e dell’impatto traumatico con la cultura occidentale. Il termine arabo per defnire il fenomeno è usuliyyah, derivato da usul ossia “radici”, “origini”, “basi” (singolare asl): il concetto racchiuso nel termine è dunque quello del ritorno alle origini, appunto ai “fondamenti”. Il modello di società dei fondamentalisti musulmani è la prima comunità islamica, guidata personalmente dal profeta Muhammad (Maometto) nelle città di Mecca e Medina tra il 610 e il 632 E.V. In questo senso vari studiosi parlano di “utopia retrospettiva”: ossia, l’inizio dell’islam sarebbe stato il punto più altro toccato dall’umanità, la storia successiva un lento e inesorabile degrado. In realtà dopo la morte di Maometto ha luogo la fulminea espansione territoriale del mondo musulmano, con il sorgere e fiorire di dinastie sotto le quali la cultura arabo-musulmana (divenuta multietnica e multireligiosa) raggiunge la sua epoca d’oro. In questo periodo di tempo il mondo musulmano coltiva le scienze, le arti, la letteratura e la tolleranza religiosa. Vengono redatti autorevoli commenti al Corano che ne smussano gli aspetti più severi o arcaici (ad esempio limitando in ogni modo l’applicazione delle pene corporali coraniche); fiorisce la speculazione mistica dei suf, con i suoi rituali estatici e il culto di “santi”, che impregnano la religiosità popolare; si svolgono dispute religiose in cui gli appartenenti alle diverse confessioni possono esprimersi liberamente e pensatori come Abu ‘l-‘Ala al-Ma‘arri (Siria, 973-1058) possono permettersi affermazioni come “gli uomini si dividono tra chi ha un cervello e chi ha una religione”. Tutto ciò verrà spazzato via dalle invasioni mongole del sec. XIII, ma il mondo islamico proseguirà la sua vita tra alterne vicende fino a entrare in una fase in cui, nel sec. XIX, diverrà succube della (e colonizzato dalla) civiltà europea, tecnologicamente più avanzata e a cui risultava impossibile opporsi. Tuttavia poco prima dell’impatto con l’Europa, a metà sec. XVIII, nelle remote regioni interne della Penisola araba era nato il movimento politico religioso detto wahabismo; propugnava una lettura intransigente e intollerante delle fonti islamiche e un ritorno a una “purezza originaria” (che tra l’altro permetteva di considerare tutti gli altri musulmani come “infedeli”, dunque legittimi obiettivi di guerre e razzie). Il movimento wahabita strinse all’epoca un’alleanza con i capi tribali della famiglia Al Saud, alleanza politico-religiosa che continua ancora oggi. Il wahabismo è ancora infatti la confessione di stato in Arabia Saudita, che si impegna attivamente per propagarlo. Nonostante la propaganda wahabita finanziata dai proventi del petrolio stia contribuendo a radicalizzare vaste aree del mondo islamico, l’Occidente “chiude un occhio” e preferisce ignorare la cosa, dal momento che l’Arabia Saudita è saldamente alleata agli USA.
Nel sec. XIX, in seguito all’impatto con la cultura europea, vari pensatori del mondo musulmano, sia laici che religiosi, si rendevano conto della necessità di un “risveglio” (in arabo nahda). Nacquero nelle città del mondo arabo circoli letterari, partiti politici, giornali e nuovi approcci sociali e filosofici di diversificata e sorprendente creatività. In questo contesto si inserisce anche l’operato di alcuni pensatori religiosi, in particolare della triade costituita da Jamal ad-Din al-Afghani (1838-1897), Muhammad ‘Abduh (1849-1905) e Rashid Ridà (1865-1935). Questi tre eruditi sono considerati i “padri nobili” del movimento salafita (da salaf, “predecessori”, ossia la comunità islamica primigenia dei tempi di Maometto). Secondo loro, l’islam, non una semplice religione ma un sistema globale di vita, aveva in sé tutti gli strumenti per modernizzare il mondo musulmano e permettergli di stare alla pari dell’Occidente senza con ciò perdere la propria anima. Per fare ciò era però necessario liberarlo da tutte le “incrostazioni” accumulatesi nei secoli e ritornare alle origini o, potremmo dire, ai fondamenti, alle radici: vale a dire in primo luogo il Corano. Afghani, ‘Abduh e Ridà intendevano questo approccio nel senso di ripartire dalle fonti primarie per sviluppare nuove interpretazioni, allo stesso tempo puramente islamiche e adatte al mondo moderno. Alcuni dei loro successori interpretarono però i loro insegnamenti nel senso di un ritorno a una lettura letterale dei testi sacri, le cui ingiunzioni dovevano diventare nuovamente la legge vigente all’interno della società. Di questa corrente fanno parte i salafiti moderni, che nonostante il nome poco hanno a che vedere con l’atteggiamento aperto di Afghani, ‘Abduh e Ridà e piuttosto sono ansiosi di riportare indietro di quattordici secoli l’orologio della Storia.

È poi impossibile non menzionare il movimento dei Fratelli Musulmani, fondato nel 1928 in Egitto dal maestro di scuola Hasan al-Banna e oggi divenuto una fiorente organizzazione internazionale. Al-Banna fondò un movimento che puntava a “islamizzare la società dal basso”: semplificando molto, si tratta di un vero e proprio movimento di massa moderno (assimilabile ad esempio ai fascismi e al bolscevismo, ai quali al-Banna si ispirava a livello pratico e organizzativo) ma su base islamica. Lo slogan dei Fratelli “l’islam è la soluzione” rende bene il concetto di una vera e propria ideologia, che come le sue “cugine” europee pretende di offrire una visione del mondo globale, che fornisce le risposte a tutte le domande e le soluzioni a tutti i problemi.

I Fratelli, che potevano contare su una efficace rete di aderenti, ebbero una parte importante nell’appoggiare il colpo di stato del 1952, con il quale in Egitto fu rovesciato il regime monarchico e instaurata la repubblica. In breve tempo il nuovo presidente Nasser assunse il potere assoluto e instaurò un regime laico e nazionalista. Nel 1954, con il pretesto di un fallito attentato a Nasser, il governo attua una feroce repressione dei Fratelli Musulmani: buona parte del loro gruppo dirigente viene rinchiuso per anni in carcere, dove subisce torture di ogni genere.

Tra costoro si trovava un giornalista e critico letterario di nome Sayyid Qutb. Una persona di viva intelligenza, che in gioventù era stato un laico convinto e in seguito (complice anche un lungo soggiorno negli USA, dal quale era tornato disgustato dal materialismo e l’immoralità prevalenti) aveva vissuto un “risveglio” religioso. In seguito aveva aderito ai Fratelli Musulmani, nei quali si era fatto rapidamente strada. Qutb passò dieci anni in carcere e in questo periodo scrisse due opere ancor oggi fondamentali per la galassia dell’islam radicale: il commento al Corano Fi Zilal al-Qur’an (“All’ombra del Corano”) e Ma‘alim fi ‘t-Tariq (“Pietre miliari sulla via”), in cui espone la propria visione del mondo.
Nell’islam il fondamentalismo non è afatto tradizionale né connaturato alla struttura profonda di questa cultura ma è invece un prodotto della modernità e dell’impatto traumatico con la cultura occidentale.
Secondo Qutb tutte le religioni e le ideologie laiche hanno fallito e mostrato la loro inadeguatezza, a eccezione dell’islam: il mondo è oggi sprofondato nella Jahiliyya, lett. “ignoranza”: il termine è normalmente usato per designare l’epoca preislamica della storia araba, ma per Qutb si tratta non di un periodo storico ma di una condizione, oggi prevalente ovunque. Spetta all’islam (o meglio, a ciò che questo modo di pensare considera il “vero islam”…ossia il proprio!) il diritto/dovere di “riportare il mondo sulla retta via”, e dal momento che i sistemi di potere attualmente dominanti non sono disposti a farsi da parte è necessario utilizzare la violenza per ristabilire il “giusto” corso delle cose: una situazione in cui l’islam sia “libero di proclamare il proprio messaggio”, ossia in posizione di dominio incontrastato. A questo scopo è necessario per prima cosa combattere i regimi “atei” che soggiogano il mondo arabo, e in seguito, ristabilito un governo islamico, rivolgersi contro i nemici esterni. Qutb, tra l’altro, è uno dei primi a teorizzare che gli ebrei siano da sempre e per sempre nemici naturali dei musulmani; tema che per gli islamisti successivi diventerà un accanimento sconfinante nella vera e propria ossessione. Tra gli allievi di Sayyid Qutb e di suo fratello Muhammad (che dopo l’esecuzione di Sayyid nel 1966 a opera del regime di Nasser otterrà una cattedra universitaria in Arabia Saudita) ci sarà tra gli altri Ayman al-Zawahiri, uno dei futuri fondatori di al-Qa‘ida. Il filo che porta ai movimenti islamici radicali odierni passa per l’Afghanistan; nel ‘79 i sovietici invasero il paese e ben presto, con la benedizione e il sostegno materiale degli USA, giovani musulmani radicali provenienti da tutto il mondo islamico presero a affluire in Afghanistan per combattere gli invasori “senzadio”. L’Afghanistan divenne presto un vero e proprio laboratorio del jihadismo: il più famoso dei combattenti che ne fecero la propria base era Osama bin Laden.

Non è negli scopi e nelle possibilità di questo articolo fornire una storia precisa e approfondita di quello che oggi chiamiamo “fondamentalismo islamico”. Piuttosto era nostra intenzione mostrare come non si tratti di un fenomeno uniforme e monolitico, ma piuttosto di una serie di correnti che, come fiumi sotterranei, a volte emergono in superficie; ora unendosi, ora separate e ora addirittura combattendosi tra loro. Questo per ribadire che una conoscenza superficiale di questi movimenti, quale quella che la maggioranza dei mezzi di comunicazione veicola, rende estremamente difficile comprenderli e dunque combatterli in maniera efficace.
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