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La speranza nel cuore dell’oscurità

Introduzione di Francesco Mele, vicepresidente VIS

di Depolin Wabo, communication officer VIS in RD Congo

l Volontariato Internazionale per lo Sviluppo (VIS) è un’organizzazione non governativa che si occupa di cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale e un’agenzia educativa che promuove e organizza attività di sensibilizzazione, educazione, formazione per lo sviluppo e la cittadinanza globale.


L’associazione, nata nel 1986 su promozione del Centro Nazionale Opere Salesiane (CNOS), si ispira al messaggio di San Giovanni Bosco e al suo sistema educativo preventivo. Opera in 22 Paesi del mondo, in Africa, Medio Oriente, America Latina ed Europa. “Insieme, per un mondo possibile” indica l’intenzione di fare rete in Italia, in Europa e nel resto del mondo per migliorare le condizioni di vita delle bambine, dei bambini, dei giovani in condizioni di vulnerabilità e delle loro comunità, nella convinzione che attraverso l’educazione e la formazione si possano combattere alla radice le cause della povertà estrema. Proprio con “questo spirito” che siamo presenti anche in Repubblica Democratica del Congo, ringrazio Giovanna Martelli e la Fondazione RUT per questo spazio per far sentire la nostra “VOCE” dall’interno dell’oscurità credendo sempre nella speranza di un “Mondo possibile”


Da oltre trent’anni, la Repubblica Democratica del Congo è intrappolata in un ciclo infinito di crisi e violenze. Questi conflitti, concentrati in particolare nella parte orientale del Paese, hanno causato la morte di oltre sei milioni di persone e lo sfollamento di altri milioni, spesso condannati a trascorrere anni in campi profughi precari. Lì le famiglie sopravvivono in condizioni disumane, esposte alla fame, alle epidemie e alla fragilità permanente dell’esistenza. La storia recente della Repubblica Democratica del Congo rimane segnata dal 1994, quando il genocidio ruandese ha provocato un massiccio esodo di rifugiati verso il Congo. Da allora, la parte orientale del Paese ha vissuto al ritmo di scontri armati, sfollamenti forzati e ondate successive di distruzione. Questa spirale di violenza ha distrutto le fondamenta dello sviluppo: strade distrutte, scuole bombardate, ospedali chiusi, campi abbandonati… Un crudele paradosso per una nazione dotata di vaste terre coltivabili e di una popolazione giovane e laboriosa. Queste guerre ripetute hanno condannato la popolazione a una vita di mera sopravvivenza: sfollamenti senza fine, povertà cronica, salute fragile e profondi traumi psicologici. Molti vivono senza punti di riferimento, costretti a cercare ogni giorno una ragione per andare avanti.


Eppure, in mezzo a questa disperazione, una forza persiste: la speranza. Fragile e vacillante, spesso messa alla prova dalla guerra, rifiuta di svanire. Come la vegetazione che rinasce dopo la stagione secca, le comunità tornano alla vita non appena si presenta una tregua. I bambini tornano a scuola, anche quando le aule non sono altro che tende improvvisate. Gli agricoltori tornano ai loro campi, convinti che la pace durerà abbastanza a lungo da permettere loro di raccogliere i frutti del loro lavoro. I mercati riaprono, le canzoni risuonano nelle chiese e negli stadi, le donne organizzano associazioni di risparmio e credito nei villaggi per sfamare le loro famiglie.


Questo slancio, fragile ma potente, dimostra che la speranza congolese non è un’illusione: è un vero motore di resilienza. Nonostante le ricchezze saccheggiate, gli anni scolastici interrotti e il richiamo dei gruppi armati, continua ad alimentare la convinzione che un altro futuro sia possibile.


«La guerra ci ha portato via tutto», confida una madre che si appresta a lasciare un campo profughi dopo tre anni lontana dal suo villaggio natale. «Abbiamo perso le nostre case, i nostri campi, persino i nostri cari. Ma continuo a sperare che un giorno i miei figli torneranno a scuola. Sogno di vederli impa- rare, diventare costruttori di pace, non bambini condannati a crescere nella paura».

Guardando i suoi campi abbandonati, aggiunge: “Ogni stagione abbiamo paura di seminare, perché non sappiamo se potremo raccogliere. Ma questa volta voglio credere. Spero che la pace duri abbastanza a lungo da permettere alla nostra terra di nutrire di nuovo i nostri figli”.

Accanto a lei, anche il fratello minore, che ha aiutato la famiglia a spostarsi, interviene:
«Ho interrotto gli studi a causa dei ripetuti scontri. A volte, la tentazione di unirmi a un gruppo armato era forte. Ma continuo a credere che un altro futuro sia possibile. Tutto quello che voglio è imparare un mestiere, lavorare e costruirmi una vita migliore».
Di fronte all’incertezza del governo e alla persistente occupazione di alcune regioni, questa piccola luce di speranza rimane fragile. Eppure, la sfida umanitaria odierna consiste proprio nel trasformare questa speranza in una solida base per la pace. Ogni atto di solidarietà, ogni iniziativa educativa, ogni sforzo nel campo della sanità o della ricostruzione contribuisce a riaccendere questa fiamma.


Perché in Congo la speranza non è solo l’aspettativa di un domani migliore: si costruisce ogni giorno, attraverso atti di sopravvivenza, resistenza e dignità. E se la guerra ha seminato paura e desolazione, la speranza congolese resiste come un seme ostinato, sempre pronto a germogliare ogni volta che cade la pioggia.


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