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In cammino con i futuri (im)possibili

Tre giovani educatori raccontano l’esperienza di strada a Caivano, tra ascolto, speranza e rinascita

A Caivano, terra troppo spesso raccontata solo attraverso le sue ferite, è nato un progetto che sceglie un altro sguardo: si chiama Futuri (im)possibili, promosso dalla Fondazione Rut in collaborazione con la Fondazione Don Calabria per il Sociale, in accordo con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Commissario Straordinario per il risanamento e la riqualificazione funzionali al territorio del Comune di Caivano e il Ministero della Giustizia – Dipartimento per la Giustizia minorile e di Comunità, e con il supporto scientifico dell’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del CNR e dell’Istituto di linguistica computazionale “A. Zampolli” del CNR.

È un’esperienza di ricerca-azione che prende forma anche tra le strade, nelle piazze, nei luoghi quotidiani delle/dei giovani di Caivano, attraverso una Unità di Strada che ha scelto tre verbi semplici ma radicali: incontrare, ascoltare, trasformare.

Lontano dai riflettori, tre giovani educatori – Cecilia D’Angelo, Luigi Cerbone e Luigi Massari – percorrono i vicoli dei quartieri non con progetti calati dall’alto, ma con passi pazienti e discreti, costruendo legami, aprendo spazi di fiducia, raccogliendo voci e sogni spesso nascosti sotto la polvere della rassegnazione. La strada diventa così laboratorio educativo, specchio di fragilità ma anche fucina di possibilità nuove.

In questo anno speciale, segnato dal Giubileo 2025, il progetto assume un significato ulteriore: il lavoro educativo diventa segno concreto di una stagione di rinnovamento che può germogliare proprio nei luoghi di margine. Per questo abbiamo voluto dare voce a Cecilia, Luigi C. e Luigi M.: per ascoltare dalla loro esperienza come le/i giovani di Caivano stanno vivendo questo cammino, quali sfide incontrano e quali sogni custodiscono per il futuro.

Ciascuno di loro è arrivato a questo impegno seguendo una chiamata interiore.

Per Cecilia, la scintilla è stata l’urgenza di non voltarsi dall’altra parte: «Ho capito che i luoghi di vita dei ragazzi – la strada, il quartiere, la piazza – sono il primo spazio educativo». Luigi C. racconta di un percorso che, iniziato nel volontariato, lo ha portato naturalmente a mettersi al servizio di chi cresce in contesti fragili. Luigi M. confida di essersi rivisto nelle storie ascoltate e di aver scelto di “camminare accanto a chi si sente invisibile”.

Al centro del loro lavoro c’è l’ascolto. Ma ascoltare, a Caivano, non è solo prestare l’orecchio. Significa prima di tutto dare spazio alla voce delle ragazze e dei ragazzi senza sovrapporre la propria, accogliendo quello che portano senza filtri né giudizi. Per Cecilia è anche la capacità di restare accanto nei silenzi, trasmettendo ai giovani che non hanno bisogno di fingere per essere accettati. Per Luigi C., ascoltare vuol dire creare uno spazio autentico, dove le ragazze e i ragazzi possano esprimersi liberamente, senza maschere. Luigi M., invece, sottolinea come spesso l’ascolto passi dai dettagli: un silenzio ostinato, un gesto minimo, uno sguardo che dice più di mille parole. È lì che inizia il dialogo vero, quello che apre alla fiducia.

Essere educatori di strada significa molto più che lavorare con le/i ragazzi: vuol dire condividere i loro spazi, camminare accanto a loro. Cecilia lo descrive come un vivere quotidiano fianco a fianco, un accogliere senza fretta fino a veder nascere un rapporto autentico. Per Luigi C., il cuore del progetto si racchiude in tre verbi semplici: incontrare, ascoltare, condividere. È da un piccolo gesto di fiducia che nasce il cambiamento, da un’apertura minima che germoglia una trasformazione più grande. Luigi M. aggiunge che fare l’educatore di strada significa, in fondo, seminare speranza dove sembra impossibile che possa crescere qualcosa.

Il progetto non si limita a osservare: è una ricerca-azione. Significa leggere insieme ai ragazzi i bisogni e le risorse del territorio, trasformandoli in possibilità concrete. Così, capita che un gruppo inizialmente diffiden- te si trasformi in guida, accompagnando gli educatori nei luoghi più vissuti della città. A volte, invece, è sufficiente un sogno confidato sottovoce per aprire un varco e dare inizio a un cammino di fiducia.

I tre educatori descrivono le/i giovani di Caivano come ragazzi e ragazze ricchi di potenzialità e talenti, spesso invisibili solo per- ché mancano le opportunità per esprimerli.

«All’inizio ci guardavano con sospetto», raccontano. «Poi un giorno ti chiamano per nome: quella è speranza». Giovani resilienti, capaci di adattarsi, ma assetati di fiducia e di qualcuno che creda in loro.

Il Giubileo è un tempo di rinascita che a Caivano non vive nei grandi eventi, ma nei dettagli minimi. Prende forma nei piccoli gesti quotidiani: un ragazzo che finalmente si ferma e trova il coraggio di raccontarsi, un gruppo che impara ad accogliere invece di respingere, una comunità che lentamente ricomincia ad aprirsi. Per Cecilia è «una rinascita che inizia ogni volta che un ragazzo riparte». Per Luigi C. è «la forza di guardare oltre le nostre ferite». Per Luigi M. è «la possibilità di spalancare porte dove tutti vedono muri».

Ragazze e ragazzi che, ogni volta che aprono uno spiraglio della loro vita, ogni volta che scelgono di lasciarsi ascoltare, compiono un vero atto di rinascita. Le resistenze non mancano: diffidenza, sfiducia nelle istituzioni, paura di esporsi. Ma accanto a queste ombre si accendono segni concreti di speranza. Cecilia ricorda le parole di un ragazzo: «Grazie per non esserti stancata di ascoltarmi». Luigi C. racconta di un ragazzo che un giorno ha deciso di presentargli suo fratello, segno che aveva conquistato fiducia. Luigi M. confida l’emozione di sentirsi dire da un ragazzo introverso: «Mi sono affezionato a voi». Per loro, la speranza è fiducia che nulla sia davvero perduto, è la forza di guardare oltre i fallimenti, è la spinta a credere nella possibilità del cambiamento.

E guardando al futuro, quali sogni si custodiscono per Caivano e per le ragazze e i ragazzi che la abitano? Cecilia immagina un territorio finalmente capace di valorizzare le/i giovani, offrendo loro opportunità concrete e non solo promesse. Luigi C. sogna di vedere i ragazzi riconoscere i propri talenti e avere il coraggio di restituirli alla comunità, diventando protagonisti di un cambiamento collettivo. Per Luigi M., invece, la sfida è che istituzioni e società civile scelgano davvero di investire nei giovani e nel territorio. Se dovessero racchiudere il loro cammino in una sola parola, le voci si fonderebbero in una direzione comune: fiducia, speranza, rinascita. Tre parole che, a Caivano, non restano slogan, ma diventano passi concreti lungo strade che ogni giorno possono ancora trasformarsi.

A Caivano, i Futuri (im)possibili non sono un ossimoro, ma una sfida. Sono i sogni sussurrati che diventano strade percorribili, le porte chiuse che si aprono inaspettatamente, i nomi pronunciati a bassa voce che si trasformano in legami. Impossibile è ciò che sembra negato, ma che ogni incontro, ogni ascolto, ogni atto di fiducia può provare a rendere possibile. E in questo cammino, i futuri smettono di essere un’illusione e diventano germogli: fragili, ostinati, capaci di fiorire anche nelle crepe più dure della realtà.

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