di Roberto Luppi
Ogni quarto di secolo (a meno di eccezioni), Roma si trasforma. Milioni di pellegrini, fedeli e curiosi attraversano le sue strade richiamati da un rito antico: il Giubileo. Istituito da papa Bonifacio VIII nel 1300, il Giubileo non è soltanto un evento religioso, ma un fenomeno culturale e sociale che ha lasciato tracce profonde nell’immaginario collettivo. Non stupisce, dunque, che la letteratura – da quella medievale alle narrazioni contemporanee – abbia continuamente raccontato, interpretato, discusso e talvolta contestato il Giubileo.
Il Giubileo è, a tutti gli effetti, un “tempo dell’uomo” e un “luogo letterario”: una scena che scrittori, poeti e cronisti hanno scelto per rappresentare le ansie, le speranze e le contraddizioni del proprio tempo. Attraverso Dante, Petrarca e Stendhal fino ad autori più recenti, si può seguire una trama affascinante che lega il Giubileo alla storia della parola scritta, narrata e – a volte – in rima.
Il Giubileo biblico
Le radici del Giubileo affondano molto prima del 1300 e di Bonifacio VIII. Nel Levitico, il “Giubileo” era un anno speciale che si celebrava ogni cinquant’anni, in cui si restituivano le terre, si liberavano gli schiavi e si proclamava la remissione dei debiti. Era, in altre parole, un “anno di grazia” in cui la comunità ritrovava equilibrio e giustizia.
La Bibbia stessa, dunque, ha fatto del Giubileo un simbolo narrativo. Profeti come Isaia ne riprendono il senso di liberazione, che nel Nuovo Testamento confluisce nelle parole di Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me […] mi ha mandato ad annunciare ai poveri un lieto messaggio […] a proclamare l’anno di grazia del Signore”. Quella frase, letta nel Vangelo di Luca, è forse la più chiara eco letteraria del Giubileo biblico.
La letteratura cristiana dei primi secoli ha visto in quel “anno di grazia” un’immagine del tempo escatologico, del perdono ultimo. Il Giubileo è diventato così un topos teologico e letterario, molto prima di assumere le sembianze di un evento istituzionalizzato nella Roma papale.
Il primo Giubileo: Dante e il Trecento
Il 1300 segna l’inizio della storia giubilare romana. Bonifacio VIII proclama il primo Giubileo, e Dante – che a Roma c’era stato proprio in quell’anno – ne lascia una delle testimonianze più celebri. Nell’Inferno (XVIII), egli paragona il movimento dei dannati al flusso ordinato dei pellegrini sul ponte di Castel Sant’Angelo durante il Giubileo: da una parte quelli che andavano verso San Pietro, dall’altra quelli che tornavano. È un’immagine potentissima: la Roma giubilare, con la sua folla disciplinata, diventa metafora del girone infernale.
Umanesimo e Rinascimento
Nel Quattrocento e Cinquecento, il Giubileo diventa occasione di viaggio e di osservazione. Petrarca lo cita come segno dei tempi di rinnovamento spirituale, mentre numerosi autori latini e volgari annotano nei loro diari le impressioni della Roma affollata di pellegrini. Con il Rinascimento, la letteratura giubilare si arricchisce di descrizioni artistiche e di riflessioni morali. La città eterna, nel tempo dei grandi papi umanisti, è descritta come teatro di una spiritualità che si intreccia con il potere temporale. Non di rado, gli autori evidenziano le contraddizioni: tra devozione e commercio delle indulgenze, tra sacralità e mondanità.
Il Seicento e l’età barocca
Il Seicento barocco porta con sé un’attenzione speciale alla teatralità. I Giubilei di quest’epoca diventano spettacoli grandiosi, con cerimonie solenni, processioni, fuochi d’artificio. La letteratura riflette questo gusto per la scena: cronache, poemi e sermoni giubilari dipingono una Roma magniloquente. Viaggiatori stranieri, come Madame de Sévigné o il poeta inglese John Evelyn, raccontano con stupore le liturgie solenni, spesso con una punta di ironia.
La Roma barocca giubilare è un palcoscenico su cui fede e spettacolo s’intrecciano, e la letteratura diventa il principale strumento di diffusione di quell’immaginario in tutta Europa.
Ottocento: il Giubileo dei viaggiatori
Nell’Ottocento, con il diffondersi del turismo e della letteratura di viaggio, il Giubileo diventa soprattutto tema di reportage. Goethe, durante il suo viaggio in Italia, non assiste a un Giubileo, ma osserva le tracce che ha lasciato. Stendhal, invece, nel suo celebre “Passeggiate romane”, descrive la Roma giubilare con l’occhio dello scrittore moderno: incantato dai riti, ma anche attento alle contraddizioni sociali. Parallelamente, autori come Manzoni e Fogazzaro vedono nel Giubileo un momento di risveglio spirituale collettivo, una “ora di Dio” che supera i confini del tempo ordinario.
Novecento e contemporaneità
Nel Novecento, il Giubileo continua a essere raccontato, sebbene in un contesto ormai secolarizzato. Autori cattolici come Mario Pomilio lo vedono come segno della continuità della fede, mentre scrittori più laici lo raccontano come fenomeno sociale, quasi antropologico. Il Giubileo del 1950, per esempio, è ricordato in numerosi diari e romanzi come simbolo della rinascita dell’Italia dopo la guerra. Quello del 2000, voluto da Giovanni Paolo II, è entrato nella narrativa e nel giornalismo come immagine del passaggio di millennio: un Giubileo globale, mediatizzato, raccontato dalle televisioni e dai nuovi media.Oggi, il Giubileo non è più soltanto un rito religioso, ma anche un evento politico, economico e culturale. E la letteratura, pur meno centrale che in passato, continua a registrare le storie dei pellegrini, dei romani, dei turisti che vivono quell’esperienza.
Conclusione
Dalla Bibbia a Dante, dai viaggiatori dell’Ottocento agli autori contemporanei, il Giubileo ha attraversato la letteratura come metafora potente di rinnovamento, speranza, ma anche contraddizione e spettacolo. È un rito che ha saputo adattarsi ai secoli, e che ha sempre trovato nella parola scritta la sua eco più profonda. Parlare del Giubileo nella letteratura significa, in fondo, raccontare come la fede, la storia e la società abbiano dialogato attraverso i secoli, trasformando un evento religioso in un simbolo universale. Il Giubileo, insomma, non è soltanto un fatto di Chiesa. È un patrimonio di immagini e di narrazioni che appartengono alla cultura di tutti, credenti e non credenti. Un grande romanzo collettivo che continua a scriversi ogni volta che Roma apre le sue Porte Sante.