‘Futuri (im)possibili’: il progetto che aiuta i giovani a riscrivere il loro futuro
26 Febbraio 2025
Intervista a Paolo Landri, Direttore F.F. dell’IRISS-CNR
Qual è la visione alla base del progetto ‘Futuri (im)possibili’?
L’obiettivo è intervenire nei processi di rigenerazione urbana e sociale con una prospettiva di lungo periodo. L’idea non è solo produrre effetti immediati nel miglioramento urbano e sociale, ma attivare iniziative capaci di lasciare un impatto duraturo in contesti complessi come Caivano, segnati da difficoltà socio-economiche significative.
Come è nata l’idea di integrare i future studies nella metodologia del progetto?
L’idea affonda le radici in un filone di ricerca sviluppato al CNR, in particolare all’IRPPS (Istituto di Ricerca sulla Popolazione e le Politiche Sociali), e oggi esteso all’IRISS (Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo). I future studies analizzano la dimensione temporale della vita sociale, ponendo al centro dell’attenzione la questione del tempo, quindi la questione del passato, la questione del futuro e quella del presente. Troppo spesso la sociologia si è concentrata sulle condizioni di partenza, enfatizzando il peso del passato. I future studies non è che non riconoscano l’importanza delle condizioni di partenza, ma pensano che si possa intervenire sulle dinamiche future – agendo sul presente – aiutando i contesti che si trovano in maggiore difficoltà a sviluppare quella particolare dote che si chiama ‘immaginazione sociologica’. Cioè l’idea di poter immaginare, partendo, come ci suggerisce Wright-Mills (1) da un’analisi del nesso tra storia sociale e biografia individuale, tra esperienza del presente e immaginazioni su possibili futuri, i contesti territoriali in maniera diversa. Nel caso di Caivano, adottare questa prospettiva significa lavorare direttamente con i giovani, aiutandoli a immaginare il futuro del proprio territorio nei prossimi dieci anni.
Quali sono i principali approcci teorici che vengono utilizzati nei future studies?Come si applicano nella ricerca-azione?
Gli approcci sono diversi. Un aspetto chiave è l’analisi delle rappresentazioni sociali del futuro e il loro impatto sulle azioni presenti. Questo implica una visione sociologica di tipo culturale, che non considera la dimensione culturale come meramente accessoria, ma come una leva per promuovere prospettive di cambiamento. In contesti di marginalità, sicuramente esistono delle questioni economiche e strutturali che bisogna sanare, però molto spesso il problema della povertà, è una questione che affonda le radici anche in una dimensione di carattere culturale. La ricerca-azione si inserisce in questo quadro stimolando la partecipazione attiva dei giovani nella dimensione dell’immaginazione, promuovendo la cosiddetta future literacy.
Come si traduce nella pratica la future literacy nel progetto? La future literacy ha a che fare con la capacità di aspirare (2), cioè con l’idea che nelle aree di marginalità una delle ragioni della marginalizzazione sta nell’incapacità di aspirare, nell’incapacità di vedere il futuro, e quindi anche nella capacità di immaginare una possibilità di trasformazione. Promuovere la future literacy significa sbloccare l’immaginazione sociologica e offrire strumenti per superare visioni limitate del futuro. Nel progetto, utilizziamo laboratori di immaginazione basati sul video storytelling partecipativo per aiutare i giovani a diagnosticare il presente e progettare il domani. Abbiamo privilegiato il video storytelling rispetto ad altre forme di telling, di narrazione, perché i giovani oggi comunicano attraverso immagini e video. Strumenti come TikTok e Instagram sono parte della loro quotidianità. Uno dei problemi che si riscontrano molto più frequentemente nelle fasce giovanili è l’uso improprio ed acritico delle immagini, come testimoniato da tantissimi episodi di cyberbullismo o di uso fraudolento, quando non criminoso, delle immagini. Favorire invece un modo di fare video storytelling che è consapevole può da una parte avvicinarli all’idea di immaginare diversamente il proprio futuro, dall’altra li rende consapevoli del fatto che le immagini vanno utilizzate, consumate e costruite in maniera critica.
In che modo verranno strutturati e organizzati i laboratori di immaginazione? Avvieremo una call pubblica per selezionare circa trenta giovani di Caivano, che lavoreranno in piccoli gruppi alla produzione di video. Il percorso prevede sessioni di formazione sugli strumenti di produzione audiovisiva, seguite dalla realizzazione autonoma degli storyboard e delle riprese. I video prodotti saranno presentati in una manifestazione pubblica, non solo per raccontare la realtà attuale, ma anche per proporre idee di trasformazione urbana. L’obiettivo non è una semplice descrizione del contesto, ma una progettazione partecipata del futuro. Il cambiamento parte dal basso, dando voce ai giovani e rendendoli protagonisti del futuro di Caivano. Non un futuro imposto dall’esterno, ma un futuro scelto e immaginato insieme.
Ci sono esperienze precedenti simili che hanno ispirato il progetto? Sì, abbiamo già sperimentato questa metodologia con Indire nel progetto Piccole Scuole, dedicato alle scuole di piccole dimensioni che si trovano in aree marginali. Anche in quel caso i laboratori hanno avuto un forte impatto, sbloccando l’immaginazione e favorendo la partecipazione attiva delle studentesse e degli studenti, attivando un forte coinvolgimento espressivo e anche emotivo. Le ragazze e i ragazzi hanno ripensato e immaginato la loro scuola, proponendo idee concrete per migliorarla. Questo è solo un esempio di come si possa costruire il futuro immaginandolo insieme a chi dovrà poi realizzarlo.
(1) C. Wright-Mills, L’Immaginazione Sociologica, 1959.
(2) Appadurai, Arjun (2004): ‘The Capacity to Aspire: Culture and the Terms of Recognition’ in Vijayendra Rao and Michael Walton, (eds.), Culture and Public Action, Stanford University Press.