Fondazione Rut in Colombia

"Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con l’umanità. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri”. Antonio Gramsci Ricercare e indagare i fenomeni sociali del nostro tempo partendo dal territorio, ascoltando e dando voce alle persone, come singoli, come comunità, come umanità, questo è il fil rouge che lega le attività di ricerca della Fondazione Rut. Un’attività che, per l’oggetto delle indagini portate avanti, si estende oltre i confini nazionali, poiché indaga e studia fenomeni, dinamiche e pratiche scollegate dalla nazionalità ma legate alla territorialità. È dall’esperienza e dalla conoscenza scaturita dalla ricerca sulle “Buone pratiche di rigenerazione sociale” in corso a Napoli che è germogliata la volontà di ricercare azioni ed esperienze rigenerative nel territorio della Colombia. Sono 9.520 i chilometri tra Bogotà e Napoli e seppur così distanti tra loro, queste due città, così lontane geograficamente ma così vicine umanamente, sembrano dialogare tra loro. La rotta esplorativa della ricerca ci ha condotto come primissima tappa nella capitale colombiana, tra un cielo terzo e un’aria addensata dall’altitudine. A Bogotà la modernità dei grattacieli si tesse tra case basse e colorate e murales che comunicano forte l’identità della libertà, della protesta e della terra. Incontriamo all’Università pontificia Javeriana, il professore di sociologia Jefferson Jaramillo, con lui parliamo di comunicazione alternativa, di territorio e di ricerca. Le esperienze si intersecano, le sinergie si alimentano aprendo nuovi orizzonti di collaborazione. Il giorno dopo visitiamo il Centro de Investigación y Educación Popular/Programa por la Paz (Cinep/PPP), un centro sociale per la ricerca che sviluppa azioni finalizzate alla protezione e alla promozione della vita, dei diritti umani, dello sviluppo sostenibile e della pace. Insieme condividiamo proposte e metodi di investigazione sociale co-partecipata. Tra le pagine delle loro pubblicazioni, scorrono i nomi di coloro che sono morti sotto il segno di una violenza che trasfigura i volti, cancella i nomi e annulla le identità. A Bogotà parliamo di donne e femminismo con le donne della Ruta Pacifica de las Mujeres. Il loro motto “le donne non partoriscono figli e figlie per la guerra” è diventato, nel corso degli anni, azione motrice e speranza di cambiamento per moltissime madri, figlie e figli.Violenza, violazione e segregazione riflettono, come raggi di un sole torrido equatoriale, sulle superficie di eternit e lamiere arrugginite delle favelas di Buenaventura. Agglomerati di palafitte sospese tra indigenza e miseria frastagliano il suono vibrante delle navi commerciali, che arrivano e partono da quello che è il porto più grande e importante della Colombia. In quella distesa infinita di terra e fango risuona la musica dei tamburi e del ballo vitale dei ragazzi di Buenaventura. La loro è una comunità di persone resilienti e sopravvissuti. Stragi, massacri e sparizioni vengono illustrati e quantificati da numeri gialli dipinti sulle pareti colorate nella Casa social cultural y memoria. In quelle mura il racconto e il resoconto amaro del fallimento dell’intera umanità. Un pallone volteggia sui piedi delle ragazze della squadra di calcio organizzata dalla Fondazione comunitaria Gerardo Valencia Cano. Tra i loro scarpini improvvisati corrono sogni e libertà, negli occhi la voglia di un riscatto che si traduca in opportunità. Incontriamo il Cepac - Centro pastorale Afrocolombiano, l’Associazione donne contadine nere e indigene di Buenaventura (AMUCIB) e il Proceso de Comunidades Negras (PCN); nei loro racconti la terra è il centro della vita, è memoria presente e antica, è identità sottratta e portata via dalla guerra e da un modello di sviluppo economico iniquo e violento. La strada da Buenaventura a Cali è una sola: un percorso lungo montagne, panni stesi sul ciglio della strada e marmitte rombanti. Arrivati nella terza città più grande della Colombia per numero di abitanti conosciamo la realtà dell’">href="https://observatorioderealidades.com">Observatorio de Realidades Sociale de la Arquidiocesis de Cali, il Centro de Paz Urbana e il Tribunale popolare di Siloè. Ascoltiamo le storie di ragazzi e ragazze uccisi a bruciapelo durante le manifestazioni pacifiche del 2021 represse dall’esercito. Ripercorriamo in un silenzio assordante il dolore delle madri nei luoghi di morte dei loro figli. Conosciamo processi di pace avviati coraggiosamente in mezzo alle violenze da giovani, donne e artisti. Dalle e con le donne chiudiamo la nostra missione, incontrando a Soacha, municipalità contigua a Bogotà, l’organizzazione Casa Ernestina Parra. Il progetto, frutto del lavoro svolto dal movimento sociale delle donne a Soacha, è uno spazio per le donne vittime di violenza di genere. L’ascolto delle loro testimonianze non lascia nessun dubbio: la ricerca di percorsi di pace in Colombia parte dal territorio e dalle donne. Il loro è il primo territorio di pace da recuperare.