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Dentro e al margine. Riflessioni sull’anno giubilare

di Marinella Perroni – teologa


Anche se l’anno giubilare è ancora in corso, alcune considerazioni è comunque possibile farle. Non senza aver prima ricordato, però, qualcosa della storia e dei significati di una pratica religiosa che, almeno nel mondo cattolico, continua ad avere una certa rilevanza.

Dalla giustizia alla salvezza

Se ne è parlato tanto in tutti questi mesi, ma in realtà anche i “pellegrini di speranza” che sono venuti a Roma per questo anno giubilare 2025 sanno ben poco della lunghissima storia di una realtà dai molti significati. Non è certo possibile ripercorrerla qui, ma è possibile provare a mettere in luce alcuni snodi problematici che lasciano capire quanto quello che comunemente viene presentato con il nome di “anno santo” e che altrettanto comunemente si traduce in una serie di azioni strettamente religiose da compiere, quando possibile, durante un pellegrinaggio a Roma, risponde a una semplificazione di qualcosa di quanto mai complesso che attraversa molti secoli di storia di due delle religioni abramitiche.
L’anno giubilare è infatti una delle tante eredità che il cristianesimo deve all’ebraismo, in particolare alla sua grandiosa visione della santificazione del tempo. In realtà, però, il passaggio dal comando biblico alla prassi cristiana e, in seguito, a quella unicamente cattolica implica una sostanziale mutazione di significati. Per l’Israele antico, il giubileo – che, con tutta probabilità, rifletteva più un modello sociale ideale che non una prassi effettivamente realizzata avrebbe dovuto rappresentare un’affermazione di equità e di giustizia come espressione della fede nella signoria di Dio sul tempo e sul creato. Il settimo giorno, il sabato, così come l’anno sabbatico, che ricorreva ogni sette anni, santificavano la scansione dei giorni, delle settimane e dei mesi e, in seguito, anche l’istituzione dell’anno giubilare avrebbe rinsaldato ulteriormente lo schema sabbatico ancorandolo addirittura a una misura del tempo quanto mai dilatata, un periodo di quarantanove anni (Levitico 25,1-12). Come nel settimo giorno, dunque, anche nell’anno giubilare, insomma, tutto doveva tornare alla sua origine, essere cioè ricondotto nelle mani di Dio: lasciare riposare la terra, condonare i debiti e liberare gli schiavi, e così redimere il tempo della storia umana dall’accumulo di sopraffazioni e di ingiustizie che, sempre, lo scandisce. Significava riconoscere che tutto appartiene a Dio e gli umani che lo ricevono solo in uso sono però in grado di alterarne i significati e il valore. Il cristianesimo medievale ha fatto proprio il comando dell’anno giubilare dopo averne però spiritualizzato i contorni: il condono delle conseguenze dei peccati sulla vita eterna prende il posto della restituzione a Dio, e quindi alla collettività, della terra e della storia. Da appello alla giustizia, il giubileo diviene promessa di salvezza. Il mondo è cambiato, le crociate attestano che si è disposti a perdere la vita terrena pur di assicurarsi quella eterna, la pratica religiosa non deve garantire la qualità della convivenza nell’aldiqua, ma veicolare l’ingresso nel tempo definitivo dell’aldilà. Se da una parte ciò comporta che la mediazione della chiesa in vista del raggiungimento della salvezza eterna diventi imprescindibile, dall’altra, vista la crescente mondanizzazione della chiesa e la corruzione dilagante, favorisce l’insorgere del mercimonio di valori spirituali, come per esempio le indulgenze, una sorta di sconto a pagamento sul tempo da passare nel purgatorio prima di poter accedere al paradiso. Tutto questo è comprensibile solo all’interno di un orizzonte culturale e spirituale come quello medievale, con il suo immaginario centrato, sì, sull’esigenza della salvezza eterna, ma con una concezione dell’aldilà del tutto materialista. Nel XVI secolo, Lutero resterà fortemente ancorato al bisogno di salvezza eterna, ma contesterà profondamente tutto il sistema romano. I giubilei, insieme a molte altre pratiche religiose, resteranno appannaggio solo della tradizione cattolico-romana e della sua pretesa di garantire l’unica mediazione possibile, celebrati alla scadenza regolare di 25 anni, ma anche intervallati da giubilei straordinari, indetti per richiamare l’attenzione dei fedeli su tematiche specifiche come la pace (1745) o la redenzione (1900 e 1984) oppure la misericordia (2015-2016).

In un tempo come il nostro, nel quale giustizia e equità sono invocate ma disattese, e sempre crescenti sono le perplessità e lo scetticismo su tutto ciò che riguarda “il mondo a venire”, in molti anche all’interno della chiesa cattolica guardano con una certa diffidenza al giubileo e a tutto ciò che comporta dal punto di vista teologico e spirituale. Resta però il fatto che, sia pure in termini numericamente più contenuti, anche quest’anno, a distanza di 25 anni da quello del passaggio di millennio e di dieci anni da quello straordinario sulla misericordia, Roma ha visto un notevole afflusso di pellegrini attratti dal richiamo a una salvezza eterna che, evidentemente, ha ancora una sua presa e disposti quindi a soddisfare le pratiche giubilari. Né va dimenticato che Papa Francesco ha voluto in tutti i modi liberare la celebrazione del giubileo dall’incombenza del pellegrinaggio a Roma ed ha quindi conferito a numerose chiese sparse per il mondo la facoltà di diventare “basiliche giubilari”.

Al centro e al margine

Il 2025 non è ancora terminato, ma tirare qualche somma sull’anno giubilare è quasi inevitabile. Ci sarà qualcuno che molto presto ci dirà quanti sono stati i “pellegrini di speranza” che hanno varcato le porte sante delle basiliche romane, magari anche quante sono state le confessioni e le comunioni. Ma non è tanto su questo che è importante riflettere, come non lo è la contabilità di cui saranno inondate le cronache: quanti voli, quanti alberghi, quanti a piedi e quanti in bicicletta o in nave. Tutto questo ha certamente un risvolto informativo di una certa importanza, ma non basta a fare il bilancio di un evento che è durato un intero anno e che ha visto convergere a Roma moltissimi fedeli, singolarmente o in gruppi organizzati. Anche per categorie: i malati, i lavoratori e i seminaristi, i governanti e i curiali, gli imprenditori e i giornalisti, e tante altre.

Inevitabilmente, l’incontro giubilare che ha fatto più “chiasso” è stato quello dei giovani. I commenti sono stati tanti perché un happening di un milione di giovani attratti da una proposta religiosa non è certo un fatto banale, soprattutto in un momento della storia della cristianità in cui, almeno nei nostri paesi occidentali, sembra che il rapporto chiesa-giovani attraversi una crisi di non ritorno. Altrettanto inevitabilmente, l’incontro giubilare che ha sollevato più polemiche è stato quello della comunità cattolica dei cattolici LGBT. Il primo, quello dei giovani, ha occupato il centro delle celebrazioni dell’anno santo; il secondo, quello dei cattolici LGBT, si è svolto al margine.


Sulle giornate giubilari di una esuberante folla di ragazzi (28 luglio-3 agosto) è stato detto molto perché la cronaca offriva spunti di colore che facevano notizia, ma è stato detto molto poco invece sulla serietà con cui centinaia di migliaia di giovani hanno accettato le condizioni di vita – anche di quella interiore – delle giornate preparatorie all’incontro romano. Certo, non può non colpire l’immensa spianata nella quale quasi un milione di ragazzi hanno condiviso per più di ventiquattro ore caldo bruciante e fresco notturno, sole e pioggia, balli di festa e tempi lunghi di preghiera silenziosa e tutto quello che la loro creatività ha saputo mettere in campo come modi per stare insieme, per entrare in contatto tra individui ma, soprattutto, tra culture, per riuscire a comunicare anche grazie a quella “lingua franca” che si apprende immediatamente solo in una situazione carica di idealità e di emozioni.

Nessuno può riuscire a cogliere l’insieme dei dettagli che hanno fatto di questo evento uno dei momenti più significativi dell’anno giubilare perché ha posto molte domande serie perché aperte sul futuro. È stato infatti una sorta di balbettio sul futuro quanto mai difficile da interpretare. Il futuro delle giovani generazioni, ma anche il futuro della chiesa e del mondo. Con grande buon senso, però, uno dei presbiteri che ha accompagnato a Roma un gruppo di ragazzi, Marco Mazzotti, ha osservato: «È più comodo pensare che la veglia abbia un’efficacia “di per sé”. Ma di per sé la veglia porta un grande bagaglio emotivo, tanta stanchezza, nulla (o poco) di più … bisognerebbe puntare alla ferialità, non all’eccezionalità… Penso che ora il lavoro importante cada sugli educatori dei singoli gruppi, sui catechisti e sui religiosi, religiose e preti incaricati di questo servizio,

ma le energie mancano». Già, la vera questione sottesa a tutto questo anno giubilare è proprio quella sulla ferialità di una chiesa in affanno, in occidente perché a rischio di insignificanza, negli altri continenti in vertiginosa crescita numerica, ma troppo spesso ancora vincolata a modelli di pensiero e di spiritualità che sono residui di un passato coloniale. Forse, la spianata di Tor Vergata, cuore pulsante del giubileo del 2025 ne rivela anche tutte le ambiguità e tutti i limiti, visto che non basta la forza che viene da un’occasione straordinaria a compensare le fragilità ormai strutturali della chiesa attuale.


I social media sono stati invece infestati da polemiche velenose contro l’incontro giubilare dei cattolici LGBT (7-9 settembre), in realtà piuttosto marginale perché, nonostante l’abbia voluto papa Francesco e l’abbia incoraggiato papa Leone, non è però entrato a far parte del calendario ufficiale degli eventi. Una marginalizzazione che da alcuni, e non a torto, è stata percepita come attestazione di ipocrisia da parte dell’istituzione ecclesiastica, ma che non ha impedito invece a molti di rallegrarsi profondamente per un insieme di eventi che si inserisce perfettamente nel cammino sinodale intrapreso dalla chiesa cattolica che prevede l’ascolto di tutti: un weekend dedicato principalmente a Gesù e al suo ministero pubblico di accoglienza, inclusione e amore; una funzione religiosa vivace e gioiosa presso la Chiesa del Gesù, organizzata dalla Tenda di Gionata, un’associazione italiana di volontariato che favorisce l’accoglienza, la formazione e l’informazione dei cristiani LGBTQ e delle loro famiglie; una Messa in cui grande impatto ha avuto l’omelia di mons. Francesco Savino, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, seguita dalla processione verso la porta santa di San Pietro.

Come ha dichiarato il gesuita James Martin, che ne è stato il promotore, le giornate «han- no avuto l’effetto di aprire veramente una porta ai cattolici LGBTQ» ma anche di offrire al mondo un’immagine di chiesa che, sia pure ancora timidamente, è capace di rico- noscere le diversità non più come problema, ma come risorsa.

Dal centro, come dal margine, gli eventi giubilari hanno riempito le cronache vaticane e non solo e sono stati immagine di una chiesa che è fedele al suo passato e, nonostante le crisi che la scuotono, cerca di assumere le proprie contraddizioni e di fronteggiare le sfide che questa nuova epoca storica porta con sé, confidando nelle parole che Papa Francesco ha impresso come sigillo ideale a questo giubileo del 2025: «la speranza non delude».1

  1. Spes nonconfunditè il titolo della Bolla con la quale Papa Francesco ha indetto il giubileo ordinario dell’anno 2025.
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